LA METAFISICA IN KARL POPPER

Nelle sue opere più recenti, in particolare nei tre volumi del Poscritto alla logica della scoperta scientifica, Popper ha sostenuto che l'impresa scientifica è irrealizzabile se non si svolge sotto le direttive di un programma di ricerca metafisico.
Tali programmi indicano alla scienza i problemi rilevanti, la direzione che la ricerca deve assumere, il tipo di spiegazione soddisfacente, ii grado di profondità raggiunto da una teoria. Essi si collocano così all'inizio ed alla fine del processo scientifico, dapprima come selettori di problemi e poi come criteri di valutazione dei risultati conseguiti.
Certo, afferma Popper, la metafisica, non essendo falsificabile, non è una scienza. Ma questo non significa che essa, come vorrebbero i neopositivisti (accusati di aver tentato di uccidere la metafisica lanciandole improperi), sia senza senso. Tant'è che noi comprendiamo benissimo che cosa i metafisici vogliono dire, anche se non disponiamo di strumenti atti a controllare la validità delle loro tesi. Inoltre, ai neopositivisti è sfuggita la serie delle interconnessioni psicologiche e storiche fra teorie metafisiche e teorie scientifiche, ovvero la funzione propulsiva esercitata di fatto dalla metafisica nei confronti della scienza. Infatti, osserva Popper, se dal punto di vista psicologico la ricerca empirica risulta impossibile senza idee metafisiche generali (si pensi all'idea dell'ordine dell'universo), dal punto di vista storico è noto a tutti come idee che prima fluttuavano nelle regioni della metafisica (si pensi all'atomismo) si sono poi trasformate in importanti dottrine scientifiche. Per cui non favoriremmo certo la chiarezza se decidessimo che queste teorie sono, in una certa fase del loro sviluppo, discorsi inintellegibili e privi di senso e che poi, in un'altra fase, assumono improvvisamente un senso compiuto. Infine, aggiunge il nostro autore, è bene tener presente che le dottrine metafisiche, pur non essendo empiricamente controllabili, sono pur sempre razionalmente criticabili e discutibili (e quindi sono ben lungi dal ridursi a semplici espressioni emotive e soggettive).
Pur essendo convinto dell'inesistenza di un metodo capace di trovare le teorie, Popper crede nell'esistenza di un metodo in grado di controllare le teorie, o, più in generale, in una procedura atta a definire lo specifico procedimento di quell'impresa razionale che è la scienza:

tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste di questi tre passi:

  1. inciampiamo in qualche problema;
  2. tentiamo di risolverlo, ad esempio proponendo qualche nuova teoria;
  3. impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci sono resi presenti dalla discussione critica.

O, per dirla in tre parole problemi-teorie-critiche.
Questo metodo non è altro che il procedimento per congetture e confutazioni o per prova ed errore (trial and error), ovvero il metodo problemi-ipotesi-prove, che consiste appunto nel rispondere ad un problema mediante un'ipotesi che deve venir sottoposta al vaglio critico dell'esperienza.
Secondo Popper la scienza non è episteme, ovvero un sapere definitivo ed assolutamente certo, in quanto le sue dichiarazioni sono e restano doxa, ossia delle pure ipotesi. Detto altrimenti, la scienza non ha a che fare con la Verità, bensì con semplici congetture. Del resto le teorie, come ben sappiamo, non sono mai veri-ficate, cioè portate nel regno delle verità immutabili, ma semplicemente corroborate, ossia temporaneamente non-falsificate.
Tutto ciò significa:
  1. che il nostro sapere è strutturalmente problematico e che la scienza ha, come tratto costitutivo, la fallibilità e l'auto-correggibilità (= fallibilismo);
  2. che all'uomo non compete il possesso della verità, ma solo la ricerca mai conclusa di essa. Infatti, lo scopo della scienza non è la verità - che rimane una pura idea regolativa - ma il raggiungimento di teorie sempre più verosimili, ovvero sempre più vicine all'ideale di una descrizione esauriente del mondo.
In altri termini, dire che una teoria è migliore di un'altra e che realizza un certo progresso nei suoi confronti, equivale a dire, per Popper, che essa appare più vicina alla verità. Di conseguenza, sebbene nell'ambita della scienza non esista una legge necessaria di progresso (in quanto la ricerca può regredire), esiste almeno un criterio generale di progresso. Infatti, mentre non possiamo mai avere argomenti sufficientemente buoni per pretendere di aver raggiunto la verità, possiamo avere argomenti ragionevolmente fondati per preferire una teoria all'altra, ossia per pretendere di aver compiuto dei progressi verso la verità.
Nell'ottica popperiana la scienza costituisce quindi un teatro di lotta fra teorie rivali, nel quale hanno il sopravvento le teorie "migliori". Da ciò il carattere evoluzionistico o darwiniano della sua epistemologia.
La visione fallibilistica della scienza si accompagna, in Popper, al rifiuto di due classiche posizioni filosofico-epistemologiche: l'essenzialismo (secondo cui le teorie scientifiche descrivono la natura essenziale della realtà) e lo strumentalismo (secondo cui le teorie scientifiche sono nient'altro che strumenti utili alla previsione di risultati sperimentali).
Il rifiuto dello strumentalismo si è ulteriormente accentuato nelle ultime opere e sta alla base della ripresa popperiana del realismo.
Un aspetto di questo realismo è anche la cosiddetta teoria dei tre mondi:
Queste ultime sono oggettive (in quanto non dipendono dagli stati d'animo e trascendono gli individui) e altrettanto reali quanto i tavoli e le sedie fisiche (tant'è che le teorie, attraverso il Mondo 2 possono agire sul Mondo 1).
Lo scopo di questa teoria è ormai palese, in quanto essa mira manifestamente ad evitare l'interpretazione soggettivistico-psicologistica della metodologia di Popper. Non bisogna credere però che essa fornisca un autentico contributo alla difesa del realismo nel senso ontologico del termine. Lo chiarisce lo stesso Popper nella Ricerca non ha fine:

Penso che il terzo mondo sia essenzialmente il prodotto della mente umana. Siamo noi a creare gli oggetti del terzo mondo [...] Questo è altrettanto reale quanto altri prodotti umani: un sistema di codificazione, un linguaggio; altrettanto reale (o forse ancor di più) quanto un'istituzione sociale, come un'università o un corpo di polizia.

Malgrado queste dichiarazioni di principio, sembra innegabile che la teoria dei tre mondi comporti, almeno per quanto riguarda l'epistemologia, la conseguenza di allontanarla dall'ambito reale degli oggetti concreti del primo mondo e delle attività pratiche che si svolgono in esso. Ciò costituisce un punto dove appare più manifesta la totale incompatibilità fra la filosofia di Popper e il marxismo, che si rifiuta per principio di separare l'attività conoscitiva dal mondo in cui viviamo e operiamo.
Da parte di Popper c'è il rifiuto di previsioni che riguardino il corso storico nella sua totalità e che lo considerino come ineluttabilmente diretto verso una meta prefissata (nel caso di Marx,la società senza classi); di fronte a questa dottrina, che Popper chiama storicismo,egli difende la nozione di previsione tecnologica, che procede per tentativi ed errori al pari del suo metodo scientifico da lui sostenuto. Mentre la profezia storicistica vorrebbe rivoluzionare la società come un tutto (da cui una meccanica sociale olistica(1) ), la previsione tecnologica dà vita ad una meccanica sociale gradualistica, nella quale ogni intervento è di dimensioni limitate, così che si possano correggere continuamente gli errori commessi.

NOTE:


1): L'olismo è un termine che designa la tesi epistemologica secondo la quale i sistemi complessi (organismi, menti, sistemi sociali) presentano caratteristiche non possedute dai loro elementi costitutivi (in questi sistemi, in altri termini, il tutto è maggiore della somma delle parti). Torna al testo

Autori:
Danilo CUBEDDU
Carmelo INCARDONA