PRECARIAMENTE a scuola: pagine di riflessione e lotta

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ultimo aggiornamento 28-06-2008

       Costituente Comitato Precari della Scuola Liguria

 
Revisioni del manifesto
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Questa pagina, a cura del Costituente Comitato Precari della Liguria, propone una riflessione sullo stato della scuola, sull'emergenza educativa e sull'irrisolto problema del precariato.  Attraverso la partecipazione diretta dei lettori si vuole elaborare un manifesto per la scuola di tutti da condividere e da portare avanti nelle sedi più opportune. Questo spazio rimarrà aperto per il tempo necessario alla comune elaborazione dopo di che sarà a disposizione per la sottoscrizione da parte dei lettori e delle associazioni che si riconosceranno in esso.  Visita spesso il sito per vedere gli aggiornamenti

Per i tuoi suggerimenti o le tue critiche o per le adesioni al Comitato vai in fondo alla pagina

Le parti nel testo evidenziate in rosso sono integrazioni ricevute dai lettori che  ringraziamo per l'attiva collaborazione

CHIUSURA DELLA FASE DI ELABORAZIONE AL 30/06/2008

 

Revisione del 28-06-2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

INDICE:

PARTE PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO

PARTE SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA SCUOLA DI TUTTI

 

2.1.................. I tagli al bilancio

2.2.................. La questione degli organici

2.2.1............... Il modello includente italiano

2.2.2................La geomorfologia del territorio

2.2.3................Il tempo pieno

2.2.4............... La religione a scuola

2.2.5................Conclusioni sulla questione degli organici

2.3.................. Lo status sociale ed economico del personale docente

2.4.................. La formazione del precariato

2.4.1................Lo stato di precarietà

 

PARTE TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA

 

3.1..................L'organico funzionale

3.2..................Ruolo delle O.O.S.S.

 

PARTE IV:  RIVENDICAZIONI

 

Indice delle Tavole:

 

Tavola 1 - Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità

Tavola 2 - Dieci anni di precariato nella scuola statale

 

 

 

PARTE PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non solo nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, ma
anche nell’alternanza e nell’avvicendarsi, con il proprio bagaglio umano e professionale, di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.


PARTE SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DEL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO

Individuiamo in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto scuola sia agli organici le principali cause dell'emergenza educativa in atto.


2.1) I TAGLI AL BILANCIO 

Gli insoddisfacenti risultati, resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

2.2) LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. 

2.2.1) IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO

Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione  anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo, da circa 30 anni, abolito le  ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti, laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia. A smentire le statistiche di un organico sovradimensionato ricordiamo che circa 160.000 alunni diversamente abili hanno beneficiato della professionalità di circa 90.000 insegnanti di sostegno ( Rapporto - Scuola in cifre - MIUR luglio 2005) di cui la metà precaria.  La legislazione scolastica italiana peraltro si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti

Nel resto dell’Europa gli alunni diversamente abili frequentano scuole speciali. Pertanto gli operatori che se ne occupano non vanno ad aumentare il numero dei docenti. Solo in Francia per questi ragazzi viene destinato un organico di 280.000 operatori sociali, che appartengono comunque ad amministrazioni diverse dalla scuola.

2.2.2) LA GEOMORFOLOGIA DEL TERRITORIO

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

2.2.3) IL TEMPO PIENO

 

Inoltre l'Italia beneficia di un superiore numero di ore di insegnamento rispetto ad altri paesi per la richiesta di tempo pieno e prolungato necessario e richiesto dalle famiglie che altrimenti dovrebbero sottrarre energie al lavoro,  al reddito e allo sviluppo del Paese. Da noi circa il 35% della scuola primaria - finché si riuscirà a resistere agli evidenti tentativi di smantellamento - funziona a tempo pieno (con 70.000 insegnanti in più rispetto al tempo normale)

2.2.4) LA RELIGIONE A SCUOLA 

Evidenziamo inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi occidentali,  annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito, le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984 inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa:

  • la religione cattolica non è più la religione di Stato

  • l'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto facoltativo

  • il finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli.

Tale personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto tramite procedura concorsuale. Evidenziamo che nella Scuola italiana vi sono 25.679 insegnanti di religione cattolica (di cui 14.670 di ruolo) che vanno a gonfiare l'organico di diritto.

 

2.2.5) CONCLUSIONI SULLA QUESTIONE DEGLI ORGANICI

 

La Scuola nel 2005-2006 necessitava di 737.250 docenti sull'organico di diritto. A questo numero, insufficiente per garantire il diritto allo studio di tutti andavano aggiunti circa 120.000 - 130.000 docenti a tempo determinato (organico di fatto). Si raggiungeva quindi la cifra di circa 850.000 docenti. A questo numero però va sottratta la cifra di quelli destinati all'insegnamento della religione cattolica (25.687), la cifra degli insegnanti di sostegno (circa 90.000) e la cifra destinata al tempo pieno (circa 70.000).

 

Quindi se al numero complessivo dei docenti (organico di diritto più organico di fatto) sottraiamo il numero di quelli che caratterizzano il nostro sistema scolastico (docenti di sostegno, di religione, per il tempo pieno) otteniamo una cifra ben minore di quella comparata con gli altri sistemi europei (circa 664.000).  Inoltre a questo numero andrebbe sottratta la quota, non facilmente rilevabile dei docenti impiegati nelle piccole isole e nelle località di montagna.

 
2.3) LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e  nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media superiore nei paesi UE.

Tavola 1

Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità
Svizzera Olanda Germania Belgio Scozia Danimarca Irlanda Inghilterra Finlandia Spagna Austria Norvegia Svezia Francia Italia Portogallo Grecia
56.500 49.400 44.400 42.200 38.300 38.100 37.500 35.200 34.800 34.200 31.800 30400 27.400 27.300 26.400 25.900 25.300

Media OCSE

34.800

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

2.4) FORMAZIONE DEL PRECARIATO

Per quanto concerne la formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accadrà che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? 

I docenti precari, non sono insegnanti di risulta ne' parcheggiatori abusivi, sono professionisti abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.  

Non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

Per risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'

Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Il sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti, privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 

La precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa, perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

 

PARTE TERZA:  PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA

3.1) ORGANICO FUNZIONALE

 Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Inoltre nell'ottica della percentuale di ore curricolari destinate all'autonomia didattica dei singoli istituti è altresì necessario prevedere un organico funzionale di istituto da dove attingere le professionalità necessarie alla realizzazione concreta dell'autonomia scolastica

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito.
Considerando il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo, il primo non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

3.2) RUOLO DELLE O.O.S.S
.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

Tavola 2

Dieci anni di precariato nella scuola statale  Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur 2008

Settori scolastici

1998/99

2007/08

differenza

Infanzia

5,2%

12,7%

+ 7,5

Primaria

5,9%

12,9%

+ 7,0

I grado

7,0%

21,0%

+ 14,0

II grado

12,4%

19,1%

+ 6,7

personale educativo

13,5%

12,7%

- 0,8

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Aree geografiche

1998/99

2007/08

differenza

nord ovest

10,7%

19,7%

+ 9,0

nord est

9,5%

20,3%

+ 10,8

Centro

6,9%

17,6%

+ 10,7

Sud

6,2%

12,7%

+ 6,5

Isole

9,0%

15,5%

+ 6,5

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Ogni sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su 845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività didattiche (119.893). 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo (sciopero ad oltranza), lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare soltanto degli esempi di ciò che si è prospettato nelle scuole e nelle assemblee si potrebbero attuare le seguenti misure:

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Maggiore dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali

  • Recessione da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di tutti

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti. 

  • Stessi diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale precario

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Revisione del 26-06-2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

 

INDICE:

PARTE PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO

PARTE SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA SCUOLA DI TUTTI

 

2.1.................. I tagli al bilancio

2.2.................. La questione degli organici

2.2.1............... Il modello includente italiano

2.2.2............... La religione a scuola

2.3.................. Lo status sociale ed economico del personale docente

2.4.................. La formazione del precariato

2.4.1................Lo stato di precarietà

 

PARTE TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA

 

3.1..................L'organico funzionale

3.2..................Ruolo delle O.O.S.S.

 

RICHIESTE

 

Indice delle Tavole:

 

Tavola 1 - Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità

Tavola 2 - Dieci anni di precariato nella scuola statale

 

 

 

PARTE PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
solo nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì ma anche nell’alternanza e nell’avvicendarsi, con il proprio bagaglio umano e professionale, di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

PARTE SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DEL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO

Individuiamo in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto scuola sia agli organici le principali cause dell'emergenza educativa in atto.


2.1) I TAGLI AL BILANCIO 

Gli insoddisfacenti risultati, resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

2.2) LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. 

2.2.1) IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO

Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione  anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo, da circa 30 anni, abolito le  ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti, laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia. A smentire le statistiche di un organico sovradimensionato ricordiamo che circa 160.000 alunni diversamente abili hanno beneficiato della professionalità di circa 90.000 insegnanti di sostegno ( Rapporto - Scuola in cifre - MIUR luglio 2005).  La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Inoltre l'Italia beneficia di un superiore numero di ore di insegnamento rispetto ad altri paesi per la richiesta di tempo pieno e prolungato necessario e richiesto dalle famiglie che altrimenti dovrebbero sottrarre energie al lavoro,  al reddito e allo sviluppo del Paese.

2.2.2) LA RELIGIONE A SCUOLA 

Evidenziamo inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi occidentali,  annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito, le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984 inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa:

  • la religione cattolica non è più la religione di Stato

  • l'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto facoltativo

  • il finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli.

Tale personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto tramite procedura concorsuale.

 
2.3) LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media superiore nei paesi UE.

Tavola 1

Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità
Svizzera Olanda Germania Belgio Scozia Danimarca Irlanda Inghilterra Finlandia Spagna Austria Norvegia Svezia Francia Italia Portogallo Grecia
56.500 49.400 44.400 42.200 38.300 38.100 37.500 35.200 34.800 34.200 31.800 30400 27.400 27.300 26.400 25.900 25.300

Media OCSE

34.800

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

2.4) FORMAZIONE DEL PRECARIATO

Per quanto concerne la formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? 

I docenti precari, non sono insegnanti di risulta, sono professionisti abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.  

Non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

Per risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'

Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Il sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti, privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 

La precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa, perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

 

PARTE TERZA:  PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA

3.1) ORGANICO FUNZIONALE

 Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Inoltre nell'ottica della percentuale di ore curricolari destinate all'autonomia didattica dei singoli istituti è altresì necessario prevedere un organico funzionale di istituto da dove attingere le professionalità necessarie alla realizzazione concreta dell'autonomia scolastica

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito.
Considerando il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo, il primo non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

3.2) RUOLO DELLE O.O.S.S.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

Tavola 2

Dieci anni di precariato nella scuola statale  Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur 2008

Settori scolastici

1998/99

2007/08

differenza

Infanzia

5,2%

12,7%

+ 7,5

Primaria

5,9%

12,9%

+ 7,0

I grado

7,0%

21,0%

+ 14,0

II grado

12,4%

19,1%

+ 6,7

personale educativo

13,5%

12,7%

- 0,8

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Aree geografiche

1998/99

2007/08

differenza

nord ovest

10,7%

19,7%

+ 9,0

nord est

9,5%

20,3%

+ 10,8

Centro

6,9%

17,6%

+ 10,7

Sud

6,2%

12,7%

+ 6,5

Isole

9,0%

15,5%

+ 6,5

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Ogni sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su 845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività didattiche (119.893). 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo (sciopero ad oltranza), lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare soltanto degli esempi di ciò che si è prospettato nelle scuole e nelle assemblee si potrebbero attuare le seguenti misure:

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Maggiore dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali

  • Recessione da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di tutti

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti. 

  • Stessi diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale precario

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Revisione del 22-06-2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

INDICE:

PARTE PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO

PARTE SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA SCUOLA DI TUTTI

 

2.1.................. I tagli al bilancio

2.2.................. La questione degli organici

2.2.1............... Il modello includente italiano

2.2.2............... La religione a scuola

2.3.................. Lo status sociale ed economico del personale docente

2.4.................. La formazione del precariato

2.4.1................Lo stato di precarietà

 

PARTE TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA

 

3.1..................L'organico funzionale

3.2..................Ruolo delle O.O.S.S.

 

RICHIESTE

 

 

 

 

PARTE PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

PARTE SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DEL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO

Individuiamo in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto scuola sia agli organici le principali cause dell'emergenza educativa in atto.


2.1) I TAGLI AL BILANCIO 

Gli insoddisfacenti risultati, resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

2.2) LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. 

2.2.1) IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO

Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione  anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo, da circa 30 anni, abolito le  ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti, laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

2.2.2) LA RELIGIONE A SCUOLA 

Evidenziamo inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi occidentali,  annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito, le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984 inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa:

  • la religione cattolica non è più la religione di Stato

  • l'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto facoltativo

  • il finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli.

Tale personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto tramite procedura concorsuale.

 
2.3) LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media superiore nei paesi UE.

Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità
Svizzera Olanda Germania Belgio Scozia Danimarca Irlanda Inghilterra Finlandia Spagna Austria Norvegia Svezia Francia Italia Portogallo Grecia
56.500 49.400 44.400 42.200 38.300 38.100 37.500 35.200 34.800 34.200 31.800 30400 27.400 27.300 26.400 25.900 25.300

Media OCSE

34.800

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

2.4) FORMAZIONE DEL PRECARIATO

Per quanto concerne la formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari?
Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

I docenti precari, non sono insegnanti di risulta, sono professionisti abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.  

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e 

Non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.


Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

Per risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'

Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Il sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti, privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 

La precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa, perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

PARTE TERZA:  PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA

3.1) ORGANICO FUNZIONALE

 Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito.
Considerando il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo, il primo non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

3.2) RUOLO DELLE O.O.S.S.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

Dieci anni di precariato nella scuola statale  Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur 2008

Settori scolastici

1998/99

2007/08

differenza

Infanzia

5,2%

12,7%

+ 7,5

Primaria

5,9%

12,9%

+ 7,0

I grado

7,0%

21,0%

+ 14,0

II grado

12,4%

19,1%

+ 6,7

personale educativo

13,5%

12,7%

- 0,8

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Aree geografiche

1998/99

2007/08

differenza

nord ovest

10,7%

19,7%

+ 9,0

nord est

9,5%

20,3%

+ 10,8

Centro

6,9%

17,6%

+ 10,7

Sud

6,2%

12,7%

+ 6,5

Isole

9,0%

15,5%

+ 6,5

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Ogni sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su 845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività didattiche (119.893). 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo, lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare degli esempi nelle scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si è parlato di nuove forme di lotta, come: 

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Maggiore dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali

  • Recessione da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di tutti

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti

  • Stessi diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale precario

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Revisione del 15-06-2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media superiore nei paesi UE.

Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità
Svizzera Olanda Germania Belgio Scozia Danimarca Irlanda Inghilterra Finlandia Spagna Austria Norvegia Svezia Francia Italia Portogallo Grecia
56.500 49.400 44.400 42.200 38.300 38.100 37.500 35.200 34.800 34.200 31.800 30400 27.400 27.300 26.400 25.900 25.300

Media OCSE

34.800

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

Per risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Il sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti, privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della possibilità di calibrare interventi didattici più mirati. 

La precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa, perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le istituzioni  rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito.
Considerando il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo, il primo non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati.
 Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

Dieci anni di precariato nella scuola statale  Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur 2008

Settori scolastici

1998/99

2007/08

differenza

Infanzia

5,2%

12,7%

+ 7,5

Primaria

5,9%

12,9%

+ 7,0

I grado

7,0%

21,0%

+ 14,0

II grado

12,4%

19,1%

+ 6,7

personale educativo

13,5%

12,7%

- 0,8

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Aree geografiche

1998/99

2007/08

differenza

nord ovest

10,7%

19,7%

+ 9,0

nord est

9,5%

20,3%

+ 10,8

Centro

6,9%

17,6%

+ 10,7

Sud

6,2%

12,7%

+ 6,5

Isole

9,0%

15,5%

+ 6,5

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Ogni sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su 845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività didattiche (119.893). 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo, lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare degli esempi nelle scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si è parlato di nuove forme di lotta, come: 

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Maggiore dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali

  • Recessione da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di tutti

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Stessi diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale precario

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi o almeno differenziazione dei diritti.
    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti 
    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo
    5. Torna su

 

 
Revisione del 13-06-2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media superiore nei paesi UE.

Stipendi medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di anzianità
Svizzera Olanda Germania Belgio Scozia Danimarca Irlanda Inghilterra Finlandia Spagna Austria Norvegia Svezia Francia Italia Portogallo Grecia
56.500 49.400 44.400 42.200 38.300 38.100 37.500 35.200 34.800 34.200 31.800 30400 27.400 27.300 26.400 25.900 25.300

Media OCSE

34.800

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli


Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

Dieci anni di precariato nella scuola statale  Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur 2008

Settori scolastici

1998/99

2007/08

differenza

Infanzia

5,2%

12,7%

+ 7,5

Primaria

5,9%

12,9%

+ 7,0

I grado

7,0%

21,0%

+ 14,0

II grado

12,4%

19,1%

+ 6,7

personale educativo

13,5%

12,7%

- 0,8

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Aree geografiche

1998/99

2007/08

differenza

nord ovest

10,7%

19,7%

+ 9,0

nord est

9,5%

20,3%

+ 10,8

Centro

6,9%

17,6%

+ 10,7

Sud

6,2%

12,7%

+ 6,5

Isole

9,0%

15,5%

+ 6,5

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Ogni sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su 845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività didattiche (119.893). 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo, lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare degli esempi nelle scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si è parlato di nuove forme di lotta, come: 

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Maggiore dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali

  • Recessione da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di tutti

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi o almeno differenziazione dei diritti.
    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti 
    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo
    5. Torna su

 

 
Revisione del 10-06 -2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli


Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

Dieci anni di precariato nella scuola statale  Elaborazione Tuttoscuola su dati Miur 2008

Settori scolastici

1998/99

2007/08

differenza

Infanzia

5,2%

12,7%

+ 7,5

Primaria

5,9%

12,9%

+ 7,0

I grado

7,0%

21,0%

+ 14,0

II grado

12,4%

19,1%

+ 6,7

personale educativo

13,5%

12,7%

- 0,8

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Aree geografiche

1998/99

2007/08

differenza

nord ovest

10,7%

19,7%

+ 9,0

nord est

9,5%

20,3%

+ 10,8

Centro

6,9%

17,6%

+ 10,7

Sud

6,2%

12,7%

+ 6,5

Isole

9,0%

15,5%

+ 6,5

Totale

8,2%

16,8%

+ 8,6

Ogni sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è  precario . Su 845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività didattiche (119.893). 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo, lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare degli esempi nelle scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si è parlato di nuove forme di lotta, come: 

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Maggiore dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali

  • Recessione da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di tutti

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi o almeno differenziazione dei diritti.
    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti 
    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo
    5. Torna su

 

 

 
Revisione del 02-06 -2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli


Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

 E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo, lo sciopero  bianco consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare degli esempi nelle scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si è parlato di nuove forme di lotta, come: 

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, quando non si è in servizio con ore eccedenti, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle proprie.

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo in quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della scuola

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List, scrivendo ai politici, ecc.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi o almeno differenziazione dei diritti.
    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti 
    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo
    5. Torna su

 

 
Revisione del 01-06 -2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli


Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

E' ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una tantum o peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza dimenticare che lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento, che deve essere reso più incisivo, nuove forme di lotta tese ad evidenziare le carenze di organico e le carenze strutturali del sistema. In altre parole occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema, senza nessuna collaborazione o forme di volontariato, finisca per collassare. Per fare degli esempi nelle scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si è parlato di nuove forme di lotta, come: 

  • rifiuto del personale tutto, precario e non, di sostituire, con ore pagate a parte, i colleghi assenti 

  • rifiuto del personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • rifiuto degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da quelle per cui sono nominati

  • sospensione delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali. 

  • sospensione dell'adozione dei libri di testo. 

  • vigilanza affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

  • organizzazione di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenimento dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

 CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi o almeno differenziazione dei diritti.
    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti 
    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo
    5. Torna su

 

 
Revisione del 31-05 -2008
MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI
 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale provinciale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli


Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati.
 
Nel periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le cessazioni dal servizio e gli  assunti a tempo indeterminato registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente, però,  gli studenti aumentavano. 

E' ovvio che un simile trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, usato con parsimonia, si è rivelato un'arma spuntata. Lo sciopero, tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia economicamente il datore di lavoro;  nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua. Occorre quindi affiancare a questo strumento nuove forme di lotta tese ad evidenziare le carenze di organico e quelle strutturali. In altre parole occorre dimostrare inequivocabilmente come l'irrigidimento del sistema, senza nessuna collaborazione o volontariato, finisca per farlo collassare. 

Per fare solo degli esempi occorrerebbe:

  • che il personale tutto, precario e non, si rifiutasse di sostituire, con ore pagate a parte, i colleghi assenti 

  • che il personale docente si rifiutasse di intraprendere  progetti da inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL, Patentino, ecc.). 

  • che gli insegnanti di sostegno non si prestassero ad attività diverse da quelle per cui sono nominati

  • organizzare presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere visibilità. 

  • mantenere viva l'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza sull'informazione, rispondendo colpo su colpo. 

  • sospendere le gite, i viaggi di istruzione, gli scambi culturali. 

  • sospendere l'adozione dei libri di testo. 

  • vigilare affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente denunciando inevitabili infrazioni. 

  • chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima di studenti.

  • chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non adeguati. 

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

 CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi 
    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti 
    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo
    5. Torna su

 

 

Revisione del 27-05-2008

MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI

 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

In sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per risultare socialmente marginale. 

La richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei nostri ragazzi. 

Se nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi deve continuare a dare.

Per quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Ma chi sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti alle Graduatorie permanenti e alle Graduatorie di merito  attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola Pubblica si può rispondere certamente no.

Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica. Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici, fermamente crede.

Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori precari del Comune.

Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel 1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito per il 50% dei posti disponibili?

Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro più stabile.

Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un incarico da parte dell’Amministrazione.

Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:

1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra

si otterrebbe la dimensione vera del problema.

Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti, cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato.
La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati. 

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

 CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

  • Eliminazione dalle GE di coloro che:

    1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella Scuola privata o in altri impieghi

    2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato

    3. pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti

    4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un passaggio di cattedra o di ruolo

      Torna su

 

Revisione del 26-05-2008

MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI

 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Oltre alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nella perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che
in alcuni casi comporta  una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata spesso non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni e non può sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza. Questi docenti sono altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti su questo tipo di organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati.

Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Dunque per quanto sopra dettagliatamente motivato nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa 

 CHIEDIAMO

  • Il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.  

  • Fine dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione ad essa di maggiori fondi.

  • Cessazione dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine dell'emergenza educativa in atto

  • Maggiore attenzione alla continuità didattica 

  • Misure contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione di un organico funzionale come meglio descritto nel documento. 

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Revisione del 25-05-2008

MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI

 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti
causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che comporta necessariamente una modificazione qualitativa della propria prestazione professionale. Il precario di lunga durata non può possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più necessaria nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato. Dati pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006) mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di riottenere una nomina di anno in anno.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Oggi alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative del  semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione, di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato ottenere dei risultati.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.

Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.

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Revisione del 24-05-2008

MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI

 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti
causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Questi non può possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabile per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare
in un'altra sede, il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza, dell'impotenza.

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica ancora più necessaria nel caso dei docenti impegnati nelle attività di sostegno.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli.

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.


Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.

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Revisione del 23-05-2008

MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI

 

 

Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti
causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato. 

Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

La discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di lunga durata e la qualità della sua prestazione. Questi non può possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabilie per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare da un'altra parte. 

Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e coprire i vuoti nell’organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il possibile passaggio da una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito numericamente, che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dell'utenza e dei lavoratori più deboli.

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
Si evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello Stato datore di lavoro e  il comportamento che lo Stato controllore esige dagli altri datori di lavoro privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo determinato.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.


Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.

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Proposta

MANIFESTO PER UNA SCUOLA DI TUTTI

 




Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.

Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza, della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente. L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi dei discenti.

Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.

Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.

Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.

Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.

Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.

I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti, laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione scolastica
italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.

Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro, all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza geografica di paesi come Belgio e Olanda.

Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.

Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.

Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico. Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.

Per superare questo problema occorre riflettere sull'istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico funzionale parificabile dunque all'organico di fatto. In un sistema di questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica, fino al momento di passare all'organico di diritto stabile.

Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari che nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuita, il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando di fatto i diritti elementari dei lavoratori più deboli.

Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari, è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata, si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.

Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S. tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.


Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass – media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.

 
 

 

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