PRECARIAMENTE
a scuola: pagine di riflessione e lotta |
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dal 22 maggio 2008
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ultimo aggiornamento 28-06-2008
Costituente Comitato
Precari della Scuola Liguria
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Questa
pagina, a cura del Costituente Comitato Precari della Liguria, propone una
riflessione sullo stato della scuola, sull'emergenza educativa e
sull'irrisolto problema del precariato. Attraverso la partecipazione
diretta dei lettori si vuole elaborare un manifesto per la scuola di
tutti da condividere e da portare avanti nelle sedi più opportune.
Questo spazio rimarrà aperto per il tempo necessario alla comune
elaborazione dopo di che sarà a disposizione per la sottoscrizione da
parte dei lettori e delle associazioni che si riconosceranno in
esso. Visita spesso il sito per vedere gli aggiornamenti
Per
i tuoi suggerimenti o le tue critiche o per le adesioni al Comitato vai in fondo alla pagina
Le parti
nel testo evidenziate in rosso sono integrazioni ricevute dai lettori
che ringraziamo per l'attiva
collaborazione
CHIUSURA
DELLA FASE DI ELABORAZIONE AL 30/06/2008
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Revisione del
28-06-2008 MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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INDICE:
PARTE
PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO
PARTE
SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA
SCUOLA DI TUTTI
2.1..................
I tagli al bilancio
2.2..................
La questione degli organici
2.2.1...............
Il modello includente italiano
2.2.2................La
geomorfologia del territorio
2.2.3................Il
tempo pieno
2.2.4...............
La religione a scuola
2.2.5................Conclusioni
sulla questione degli organici
2.3..................
Lo status sociale ed economico del personale docente
2.4..................
La formazione del precariato
2.4.1................Lo
stato di precarietà
PARTE
TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA
3.1..................L'organico
funzionale
3.2..................Ruolo
delle O.O.S.S.
PARTE
IV: RIVENDICAZIONI
Indice
delle Tavole:
Tavola
1 - Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità
Tavola
2 - Dieci
anni di precariato nella scuola statale
PARTE
PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non solo nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, ma
anche nell’alternanza e nell’avvicendarsi,
con il proprio bagaglio umano e professionale,
di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
PARTE
SECONDA: INDIVIDUAZIONE
DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA'
DEL SISTEMA
SCOLASTICO ITALIANO
Individuiamo
in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto
scuola sia agli organici le principali
cause dell'emergenza educativa in atto.
2.1)
I TAGLI AL BILANCIO
Gli insoddisfacenti risultati,
resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
2.2)
LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3.
2.2.1)
IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO
Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo,
da circa 30 anni,
abolito le ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che
il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una
misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti,
laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia.
A
smentire le statistiche di un organico sovradimensionato ricordiamo che
circa 160.000 alunni diversamente abili hanno beneficiato della
professionalità di circa 90.000 insegnanti di sostegno ( Rapporto -
Scuola in cifre - MIUR luglio 2005) di
cui la metà precaria.
La legislazione
scolastica italiana peraltro si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”
Nel resto
dell’Europa gli alunni diversamente abili frequentano scuole speciali. Pertanto
gli operatori che se ne occupano non vanno ad aumentare il numero dei
docenti. Solo in Francia per questi ragazzi viene destinato un organico di
280.000 operatori sociali, che appartengono comunque ad amministrazioni
diverse dalla scuola.
2.2.2)
LA GEOMORFOLOGIA DEL TERRITORIO
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
2.2.3)
IL TEMPO PIENO
Inoltre
l'Italia beneficia di un superiore numero di ore di insegnamento rispetto
ad altri paesi per la richiesta di tempo pieno e prolungato necessario e
richiesto dalle famiglie che altrimenti dovrebbero sottrarre energie al
lavoro, al reddito e allo sviluppo del Paese. Da noi circa
il 35% della scuola primaria - finché si riuscirà a resistere agli
evidenti tentativi di smantellamento - funziona a tempo pieno (con 70.000
insegnanti in più rispetto al tempo normale)
2.2.4)
LA RELIGIONE A SCUOLA
Evidenziamo
inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi
occidentali, annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di
tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito,
le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984
inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa:
-
la
religione cattolica non è più la religione di Stato
-
l'insegnamento
della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto
facoltativo
-
il
finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene
sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli.
Tale
personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su
segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale
che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto
tramite procedura concorsuale.
Evidenziamo che nella Scuola
italiana vi sono 25.679 insegnanti di religione cattolica
(di cui 14.670 di ruolo) che vanno a gonfiare l'organico di diritto.
2.2.5)
CONCLUSIONI SULLA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
La
Scuola nel 2005-2006 necessitava di 737.250 docenti sull'organico di
diritto. A questo numero, insufficiente per garantire il diritto allo
studio di tutti andavano aggiunti circa 120.000 - 130.000 docenti a tempo
determinato (organico di fatto). Si raggiungeva quindi la cifra di circa
850.000 docenti. A questo numero però va sottratta la cifra di quelli
destinati all'insegnamento della religione cattolica (25.687), la cifra
degli insegnanti di sostegno (circa 90.000) e la cifra destinata al tempo
pieno (circa 70.000).
Quindi
se al numero complessivo dei docenti (organico di diritto più organico di
fatto) sottraiamo il numero di quelli che caratterizzano il nostro sistema
scolastico (docenti di sostegno, di religione, per il tempo pieno)
otteniamo una cifra ben minore di quella comparata con gli altri sistemi
europei (circa 664.000). Inoltre a questo numero andrebbe sottratta
la quota, non facilmente rilevabile dei docenti impiegati nelle piccole
isole e nelle località di montagna.
2.3)
LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
superiore nei paesi UE.
Tavola
1
Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità |
Svizzera |
Olanda |
Germania |
Belgio |
Scozia |
Danimarca |
Irlanda |
Inghilterra |
Finlandia |
Spagna |
Austria |
Norvegia |
Svezia |
Francia |
Italia |
Portogallo |
Grecia |
56.500 |
49.400 |
44.400 |
42.200 |
38.300 |
38.100 |
37.500 |
35.200 |
34.800 |
34.200 |
31.800 |
30400 |
27.400 |
27.300 |
26.400 |
25.900 |
25.300 |
Media
OCSE |
34.800 |
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
2.4)
FORMAZIONE DEL PRECARIATO
Per
quanto concerne la
formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accadrà che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari?
I
docenti precari, non sono insegnanti di risulta
ne' parcheggiatori abusivi, sono professionisti
abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi
ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di
insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.
Non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
Per
risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
contratti a tempo indeterminato.
2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Il
sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
possibilità di calibrare interventi didattici più mirati.
La
precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
istituzioni rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
PARTE
TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA
3.1)
ORGANICO FUNZIONALE
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Inoltre
nell'ottica della percentuale di ore curricolari destinate all'autonomia
didattica dei singoli istituti è altresì necessario prevedere un organico
funzionale di istituto da dove attingere le professionalità
necessarie alla realizzazione concreta dell'autonomia scolastica
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo,
il
primo non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
3.2)
RUOLO DELLE O.O.S.S.
Occorre che le
O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
Tavola
2
Dieci
anni di precariato nella scuola statale |
Elaborazione Tuttoscuola su dati
Miur 2008 |
Settori
scolastici
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
Infanzia
|
5,2%
|
12,7%
|
+
7,5
|
Primaria
|
5,9%
|
12,9%
|
+
7,0
|
I
grado
|
7,0%
|
21,0%
|
+
14,0
|
II
grado
|
12,4%
|
19,1%
|
+
6,7
|
personale
educativo
|
13,5%
|
12,7%
|
-
0,8
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Aree
geografiche
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
nord
ovest
|
10,7%
|
19,7%
|
+
9,0
|
nord
est
|
9,5%
|
20,3%
|
+
10,8
|
Centro
|
6,9%
|
17,6%
|
+
10,7
|
Sud
|
6,2%
|
12,7%
|
+
6,5
|
Isole
|
9,0%
|
15,5%
|
+
6,5
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Ogni
sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è precario . Su
845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
didattiche (119.893).
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo (sciopero ad oltranza), lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare soltanto degli esempi di ciò che si
è prospettato nelle
scuole e nelle assemblee si potrebbero attuare le seguenti misure:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo
in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente
motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Maggiore
dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
-
Recessione
da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
tutti
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e
immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti.
-
Stessi
diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
precario
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Revisione del
26-06-2008 MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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INDICE:
PARTE
PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO
PARTE
SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA
SCUOLA DI TUTTI
2.1..................
I tagli al bilancio
2.2..................
La questione degli organici
2.2.1...............
Il modello includente italiano
2.2.2...............
La religione a scuola
2.3..................
Lo status sociale ed economico del personale docente
2.4..................
La formazione del precariato
2.4.1................Lo
stato di precarietà
PARTE
TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA
3.1..................L'organico
funzionale
3.2..................Ruolo
delle O.O.S.S.
RICHIESTE
Indice
delle Tavole:
Tavola
1 - Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità
Tavola
2 - Dieci
anni di precariato nella scuola statale
PARTE
PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
solo
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti,
bensì ma
anche
nell’alternanza e nell’avvicendarsi,
con il proprio bagaglio umano e professionale,
di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
PARTE
SECONDA: INDIVIDUAZIONE
DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA'
DEL SISTEMA
SCOLASTICO ITALIANO
Individuiamo
in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto
scuola sia agli organici le principali
cause dell'emergenza educativa in atto.
2.1)
I TAGLI AL BILANCIO
Gli insoddisfacenti risultati,
resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
2.2)
LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3.
2.2.1)
IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO
Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione
anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo,
da circa 30 anni,
abolito le ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che
il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una
misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti,
laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia.
A
smentire le statistiche di un organico sovradimensionato ricordiamo che
circa 160.000 alunni diversamente abili hanno beneficiato della
professionalità di circa 90.000 insegnanti di sostegno ( Rapporto -
Scuola in cifre - MIUR luglio 2005).
La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Inoltre
l'Italia beneficia di un superiore numero di ore di insegnamento rispetto
ad altri paesi per la richiesta di tempo pieno e prolungato necessario e
richiesto dalle famiglie che altrimenti dovrebbero sottrarre energie al
lavoro, al reddito e allo sviluppo del Paese.
2.2.2)
LA RELIGIONE A SCUOLA
Evidenziamo
inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi
occidentali, annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di
tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito,
le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984
inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa:
-
la
religione cattolica non è più la religione di Stato
-
l'insegnamento
della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto
facoltativo
-
il
finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene
sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli.
Tale
personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su
segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale
che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto
tramite procedura concorsuale.
2.3)
LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
superiore nei paesi UE.
Tavola
1
Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità |
Svizzera |
Olanda |
Germania |
Belgio |
Scozia |
Danimarca |
Irlanda |
Inghilterra |
Finlandia |
Spagna |
Austria |
Norvegia |
Svezia |
Francia |
Italia |
Portogallo |
Grecia |
56.500 |
49.400 |
44.400 |
42.200 |
38.300 |
38.100 |
37.500 |
35.200 |
34.800 |
34.200 |
31.800 |
30400 |
27.400 |
27.300 |
26.400 |
25.900 |
25.300 |
Media
OCSE |
34.800 |
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
2.4)
FORMAZIONE DEL PRECARIATO
Per
quanto concerne la
formazione del precariato questa avviene in quanto le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari?
I
docenti precari, non sono insegnanti di risulta, sono professionisti
abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi
ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di
insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.
Non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
Per
risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
contratti a tempo indeterminato.
2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Il
sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
possibilità di calibrare interventi didattici più mirati.
La
precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
istituzioni rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
PARTE
TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA
3.1)
ORGANICO FUNZIONALE
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Inoltre
nell'ottica della percentuale di ore curricolari destinate all'autonomia
didattica dei singoli istituti è altresì necessario prevedere un organico
funzionale di istituto da dove attingere le professionalità
necessarie alla realizzazione concreta dell'autonomia scolastica
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo,
il
primo non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
3.2)
RUOLO DELLE O.O.S.S.
Occorre che le
O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
Tavola
2
Dieci
anni di precariato nella scuola statale |
Elaborazione Tuttoscuola su dati
Miur 2008 |
Settori
scolastici
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
Infanzia
|
5,2%
|
12,7%
|
+
7,5
|
Primaria
|
5,9%
|
12,9%
|
+
7,0
|
I
grado
|
7,0%
|
21,0%
|
+
14,0
|
II
grado
|
12,4%
|
19,1%
|
+
6,7
|
personale
educativo
|
13,5%
|
12,7%
|
-
0,8
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Aree
geografiche
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
nord
ovest
|
10,7%
|
19,7%
|
+
9,0
|
nord
est
|
9,5%
|
20,3%
|
+
10,8
|
Centro
|
6,9%
|
17,6%
|
+
10,7
|
Sud
|
6,2%
|
12,7%
|
+
6,5
|
Isole
|
9,0%
|
15,5%
|
+
6,5
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Ogni
sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è precario . Su
845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
didattiche (119.893).
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo
(sciopero ad oltranza), lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare
soltanto
degli esempi di ciò che si
è prospettato nelle
scuole e nelle assemblee si potrebbero attuare le seguenti misure:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo
in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente
motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Maggiore
dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
-
Recessione
da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
tutti
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e
immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti.
-
Stessi
diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
precario
Torna
su
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Revisione del
22-06-2008 MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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INDICE:
PARTE
PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO
PARTE
SECONDA: INDIVIDUAZIONE DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA' DELLA
SCUOLA DI TUTTI
2.1..................
I tagli al bilancio
2.2..................
La questione degli organici
2.2.1...............
Il modello includente italiano
2.2.2...............
La religione a scuola
2.3..................
Lo status sociale ed economico del personale docente
2.4..................
La formazione del precariato
2.4.1................Lo
stato di precarietà
PARTE
TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA
3.1..................L'organico
funzionale
3.2..................Ruolo
delle O.O.S.S.
RICHIESTE
PARTE
PRIMA: LINEE DI PRINCIPIO DEL MANIFESTO Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
PARTE
SECONDA: INDIVIDUAZIONE
DELLE CRITICITA' E DELLE PECULIARITA'
DEL SISTEMA
SCOLASTICO ITALIANO
Individuiamo
in una miope politica di tagli indiscriminati sia al bilancio del comparto
scuola sia agli organici le principali
cause dell'emergenza educativa in atto.
2.1)
I TAGLI AL BILANCIO
Gli insoddisfacenti risultati,
resi pubblici dall'OCSE, sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
2.2)
LA QUESTIONE DEGLI ORGANICI
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3.
2.2.1)
IL MODELLO INCLUDENTE ITALIANO
Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione
anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo,
da circa 30 anni,
abolito le ghettizzanti scuole differenziali. Si consideri il fatto che
il taglio agli organici sul sostegno si rivelerebbe sul lungo periodo una
misura miope in quanto i costi dell’assistenza sarebbero più alti,
laddove non si fosse favorita massimamente l’autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
2.2.2)
LA RELIGIONE A SCUOLA
Evidenziamo
inoltre un'anomalia caratterizzante il nostro paese. Unico tra i paesi
occidentali, annovera tra i docenti stipendiati con il denaro di
tutti, i docenti di religione cattolica. Ricordiamo, a questo proposito,
le novità salienti introdotte dal Concordato Craxi-Casaroli del 1984
inerenti i rapporti tra Stato e Chiesa:
-
la
religione cattolica non è più la religione di Stato
-
l'insegnamento
della religione cattolica nella scuola statale ha carattere del tutto
facoltativo
-
il
finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato viene
sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli.
Tale
personale è stato recentemente assunto nei ruoli dallo Stato su
segnalazione nominativa della curia in spregio al dettato costituzionale
che vuole il reclutamento dei dipendenti dell'Amministrazione svolto
tramite procedura concorsuale.
2.3)
LO STATUS SOCIALE ED ECONOMICO DEL PERSONALE DOCENTE
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
superiore nei paesi UE.
Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità |
Svizzera |
Olanda |
Germania |
Belgio |
Scozia |
Danimarca |
Irlanda |
Inghilterra |
Finlandia |
Spagna |
Austria |
Norvegia |
Svezia |
Francia |
Italia |
Portogallo |
Grecia |
56.500 |
49.400 |
44.400 |
42.200 |
38.300 |
38.100 |
37.500 |
35.200 |
34.800 |
34.200 |
31.800 |
30400 |
27.400 |
27.300 |
26.400 |
25.900 |
25.300 |
Media
OCSE |
34.800 |
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
2.4)
FORMAZIONE DEL PRECARIATO
Per
quanto concerne la
formazione del precariato
questa avviene in quanto
le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari?
Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
I
docenti precari, non sono insegnanti di risulta, sono professionisti
abilitati all'insegnamento attraverso concorsi pubblici (Concorsi
ordinari, Concorsi riservati, SSIS) che da anni svolgono l'attività di
insegnamento presso le Scuole pubbliche italiane.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e
Non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si volesse assumere tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
3. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
Per
risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
contratti a tempo indeterminato.
2.4.1) LO STATO DI PRECARIETA'
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Il
sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
possibilità di calibrare interventi didattici più mirati.
La
precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
istituzioni rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
PARTE
TERZA: PROPOSTE PER SUPERARE L'EMERGENZA
3.1)
ORGANICO FUNZIONALE
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di ruolo, il
primo non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
3.2)
RUOLO DELLE O.O.S.S.
Occorre che le
O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
Dieci
anni di precariato nella scuola statale |
Elaborazione Tuttoscuola su dati
Miur 2008 |
Settori
scolastici
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
Infanzia
|
5,2%
|
12,7%
|
+
7,5
|
Primaria
|
5,9%
|
12,9%
|
+
7,0
|
I
grado
|
7,0%
|
21,0%
|
+
14,0
|
II
grado
|
12,4%
|
19,1%
|
+
6,7
|
personale
educativo
|
13,5%
|
12,7%
|
-
0,8
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Aree
geografiche
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
nord
ovest
|
10,7%
|
19,7%
|
+
9,0
|
nord
est
|
9,5%
|
20,3%
|
+
10,8
|
Centro
|
6,9%
|
17,6%
|
+
10,7
|
Sud
|
6,2%
|
12,7%
|
+
6,5
|
Isole
|
9,0%
|
15,5%
|
+
6,5
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Ogni
sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è precario . Su
845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
didattiche (119.893).
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo, lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare degli esempi nelle
scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
è parlato
di nuove forme di lotta,
come:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo
in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente
motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Maggiore
dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
-
Recessione
da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
tutti
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento e
immissione in ruolo su tutti i posti disponibili e vacanti.
-
Stessi
diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
precario
Torna
su
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Revisione
del 15-06-2008 MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
superiore nei paesi UE.
Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità |
Svizzera |
Olanda |
Germania |
Belgio |
Scozia |
Danimarca |
Irlanda |
Inghilterra |
Finlandia |
Spagna |
Austria |
Norvegia |
Svezia |
Francia |
Italia |
Portogallo |
Grecia |
56.500 |
49.400 |
44.400 |
42.200 |
38.300 |
38.100 |
37.500 |
35.200 |
34.800 |
34.200 |
31.800 |
30400 |
27.400 |
27.300 |
26.400 |
25.900 |
25.300 |
Media
OCSE |
34.800 |
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
Per
risolvere davvero definitivamente il problema basterebbe la volontà
politica e sindacale di volgere tutti i contratti a tempo determinato in
contratti a tempo indeterminato.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Il
sistematico ricorso al precariato impedisce la costruzione di una vera
squadra di docenti e la realizzazione di organici percorsi
multidisciplinari. La precarietà nega la continuità didattica e
l'attuazione di percorsi formativi di lungo respiro. Priva i giovani di
punti fermi culturali, metodologici e affettivi, essenziali nei processi
di crescita. E' questa incertezza a minare la qualità, proprio dove ce n'è
più bisogno ( nelle scuole di frontiera, per esempio, dove la percentuale
di precari è prevalente ), costringendo chi è già povero culturalmente
e socialmente ad accontentarsi di vedere la propria precarietà
esistenziale saldarsi con la precarietà lavorativa dei loro insegnanti,
privando i primi dei necessari punti di riferimento e i secondi della
possibilità di calibrare interventi didattici più mirati.
La
precarietà deve lasciare il posto alla qualità dell'offerta formativa,
perché si sostengano anche quanti sono socialmente e culturalmente più
svantaggiati, così da riaccreditare il ruolo delle istituzioni come
patrimonio comune ampliando le proposte di formazione. Le
istituzioni rappresentano le uniche prospettive di riscatto delle
aree depresse dove più numerosi sono gli Istituti con una utenza
difficile. Il precariato scolastico è ormai una metastasi dell'istruzione
italiana. Procura danni educativi ed affettivi agli alunni, professionali
ed esistenziali ai docenti. Espropria il diritto degli studenti alla
continuità didattica e agli insegnanti quello della serenità e stabilità
lavorativa, depauperando il loro ruolo educativo e sociale. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito. Considerando
il fatto che il docente precario ha gli stessi doveri del docente di
ruolo, il
primo non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
Dieci
anni di precariato nella scuola statale |
Elaborazione Tuttoscuola su dati
Miur 2008 |
Settori
scolastici
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
Infanzia
|
5,2%
|
12,7%
|
+
7,5
|
Primaria
|
5,9%
|
12,9%
|
+
7,0
|
I
grado
|
7,0%
|
21,0%
|
+
14,0
|
II
grado
|
12,4%
|
19,1%
|
+
6,7
|
personale
educativo
|
13,5%
|
12,7%
|
-
0,8
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Aree
geografiche
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
nord
ovest
|
10,7%
|
19,7%
|
+
9,0
|
nord
est
|
9,5%
|
20,3%
|
+
10,8
|
Centro
|
6,9%
|
17,6%
|
+
10,7
|
Sud
|
6,2%
|
12,7%
|
+
6,5
|
Isole
|
9,0%
|
15,5%
|
+
6,5
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Ogni
sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è precario . Su
845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
didattiche (119.893).
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo, lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare degli esempi nelle
scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
è parlato
di nuove forme di lotta,
come:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente si rifiutasse di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo
in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente
motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Maggiore
dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
-
Recessione
da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
tutti
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Stessi
diritti economici e di carriera dei docenti di ruolo al personale
precario
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
o almeno differenziazione dei diritti.
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
-
pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti -
sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
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su
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Revisione
del 13-06-2008 MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
|
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|
Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
tabella seguente riporta gli stipendi medi di un docente di scuola media
superiore nei paesi UE.
Stipendi
medi in Europa di un professore di scuola secondaria superiore
dopo 15 anni di anzianità |
Svizzera |
Olanda |
Germania |
Belgio |
Scozia |
Danimarca |
Irlanda |
Inghilterra |
Finlandia |
Spagna |
Austria |
Norvegia |
Svezia |
Francia |
Italia |
Portogallo |
Grecia |
56.500 |
49.400 |
44.400 |
42.200 |
38.300 |
38.100 |
37.500 |
35.200 |
34.800 |
34.200 |
31.800 |
30400 |
27.400 |
27.300 |
26.400 |
25.900 |
25.300 |
Media
OCSE |
34.800 |
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito,
il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
Dieci
anni di precariato nella scuola statale |
Elaborazione Tuttoscuola su dati
Miur 2008 |
Settori
scolastici
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
Infanzia
|
5,2%
|
12,7%
|
+
7,5
|
Primaria
|
5,9%
|
12,9%
|
+
7,0
|
I
grado
|
7,0%
|
21,0%
|
+
14,0
|
II
grado
|
12,4%
|
19,1%
|
+
6,7
|
personale
educativo
|
13,5%
|
12,7%
|
-
0,8
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Aree
geografiche
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
nord
ovest
|
10,7%
|
19,7%
|
+
9,0
|
nord
est
|
9,5%
|
20,3%
|
+
10,8
|
Centro
|
6,9%
|
17,6%
|
+
10,7
|
Sud
|
6,2%
|
12,7%
|
+
6,5
|
Isole
|
9,0%
|
15,5%
|
+
6,5
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Ogni
sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è precario . Su
845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
didattiche (119.893).
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo, lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare degli esempi nelle
scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
è parlato
di nuove forme di lotta,
come:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente si rifiutasse di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo
in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente
motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Maggiore
dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
-
Recessione
da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
tutti
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
- non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
o almeno differenziazione dei diritti.
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
-
pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
- sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
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Revisione
del 10-06 -2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
|
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|
Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito,
il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
Dieci
anni di precariato nella scuola statale |
Elaborazione Tuttoscuola su dati
Miur 2008 |
Settori
scolastici
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
Infanzia
|
5,2%
|
12,7%
|
+
7,5
|
Primaria
|
5,9%
|
12,9%
|
+
7,0
|
I
grado
|
7,0%
|
21,0%
|
+
14,0
|
II
grado
|
12,4%
|
19,1%
|
+
6,7
|
personale
educativo
|
13,5%
|
12,7%
|
-
0,8
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Aree
geografiche
|
1998/99
|
2007/08
|
differenza
|
nord
ovest
|
10,7%
|
19,7%
|
+
9,0
|
nord
est
|
9,5%
|
20,3%
|
+
10,8
|
Centro
|
6,9%
|
17,6%
|
+
10,7
|
Sud
|
6,2%
|
12,7%
|
+
6,5
|
Isole
|
9,0%
|
15,5%
|
+
6,5
|
Totale
|
8,2%
|
16,8%
|
+
8,6
|
|
|
Ogni
sei docenti impegnato nella scuola di tutti uno è precario . Su
845.630 insegnanti sono infatti 142.065 (16,8%) quelli con contratto a
tempo determinato annuale (22.172) o fino al termine delle attività
didattiche (119.893).
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo, lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi,
teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare degli esempi nelle
scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
è parlato
di nuove forme di lotta,
come:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente si rifiutasse di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo
in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente
motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Maggiore
dignità ai lavoratori della scuola attraverso adeguamenti salariali
-
Recessione
da ogni tentativo o tentazione di privatizzazione della Scuola di
tutti
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
- non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
o almeno differenziazione dei diritti.
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
-
pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
- sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
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Revisione
del 02-06 -2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito,
il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata. Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve essere reso
più incisivo, lo
sciopero bianco
consistente nell'attenersi scrupolosamente alle Leggi, teso ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per collassare. Per
fare degli esempi nelle
scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
è parlato
di nuove forme di lotta,
come:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire,
quando non si è in servizio
con
ore eccedenti, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente si rifiutasse di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
come la sostituzione di colleghi assenti in classi diverse dalle
proprie.
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo in
quanto creando danno economico mette in risalto i problemi della
scuola.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo, utilizzando
la rete, quando possibile i media, YouTube, i Blog, le Mailing List,
scrivendo ai politici, ecc.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente motivato
nell'ottica di
un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
- non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
o almeno differenziazione dei diritti.
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
-
pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
- sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
Torna
su
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Revisione
del 01-06 -2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito,
il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
E'
ovvio che un simile annoso trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero, una
tantum o
peggio di venerdì, si è rivelato un'arma spuntata.
Senza
dimenticare che
lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento, che
deve
essere
reso
più incisivo,
nuove forme di lotta tese ad
evidenziare le carenze di organico e le carenze
strutturali del
sistema. In altre parole
occorre mostrare inequivocabilmente come il sistema,
senza nessuna collaborazione o forme
di volontariato, finisca per
collassare. Per
fare degli esempi
nelle
scuole e nelle assemblee, senza che il discorso abbia avuto un seguito, si
è parlato
di nuove forme di lotta,
come:
-
rifiuto
del personale tutto, precario e non, di sostituire, con
ore pagate a parte, i colleghi assenti
-
rifiuto
del personale docente si rifiutasse di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
rifiuto
degli insegnanti di sostegno a prestarsi ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
-
sospensione
delle gite, dei viaggi di istruzione, degli scambi culturali.
-
sospensione
dell'adozione dei libri di testo.
-
vigilanza
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
-
organizzazione
di presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenimento
dell'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente motivato
nell'ottica di un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
- non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
o almeno differenziazione dei diritti.
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
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pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
- sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
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del 31-05 -2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie ad esaurimento e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale provinciale
parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito,
il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati. Nel
periodo tra il 1997 e il 2005 il numero degli insegnanti a tempo
determinato cresceva, secondo fonti del Ministero, di 48.000 unità
passando da 76.000 a 124.000, nello stesso periodo la differenza tra le
cessazioni dal servizio e gli assunti a tempo indeterminato
registrava un saldo negativo di 38.300 unità, contemporaneamente,
però, gli studenti aumentavano.
E'
ovvio che un simile trend evidenzia, impietoso, il fallimento dell'azione
sindacale fino ad oggi intrapresa. Lo stesso strumento dello sciopero,
usato con parsimonia, si è rivelato un'arma spuntata. Lo sciopero,
tradizionalmente inteso, si rivela efficace fino a quando danneggia
economicamente il datore di
lavoro; nella scuola accade l'inverso finendo per infastidire
l'utenza e per danneggiare economicamente il solo personale che lo attua.
Occorre quindi affiancare a questo strumento nuove forme di lotta tese ad
evidenziare le carenze di organico e quelle strutturali. In altre parole
occorre dimostrare inequivocabilmente come l'irrigidimento del sistema,
senza nessuna collaborazione o volontariato, finisca per farlo collassare.
Per
fare solo degli esempi
occorrerebbe:
-
che
il personale tutto, precario e non, si rifiutasse di sostituire, con
ore pagate a parte, i colleghi assenti
-
che
il personale docente si rifiutasse di intraprendere progetti da
inserire nei POF (Interculturalità, italiano seconda lingua, ECDL,
Patentino, ecc.).
-
che
gli insegnanti di sostegno non si prestassero ad attività diverse da
quelle per cui sono nominati
-
organizzare
presidi permanenti utilizzando il personale a riposo per ottenere
visibilità.
-
mantenere
viva l'attenzione dell'opinione pubblica attraverso la vigilanza
sull'informazione, rispondendo colpo su colpo.
-
sospendere
le gite, i viaggi di istruzione, gli scambi culturali.
-
sospendere
l'adozione dei libri di testo.
-
vigilare
affinché tutte le leggi e i regolamenti siano seguiti puntualmente
denunciando inevitabili infrazioni.
-
chiamare i V.V.F.F. quando le aule superano la capienza massima
di studenti.
-
chiamarli anche quando si fanno le nomine annuali in locali non
adeguati.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente motivato
nell'ottica di un
rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
- non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
-
pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
- sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
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su
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Revisione
del 27-05-2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
In
sempre più numerose realtà la minore considerazione e le minori
aspettative nutrite nei confronti della scuola da parte della società
finiscono per influire sul rapporto collaborativo tra famiglia e
insegnanti. L'insegnante, un tempo visto dalla comunità come figura
influente e riferimento per l'educazione dei propri figli, viene vissuto
oggi come un grigio impiegato dello Stato sottopagato: una sorta di asceta
intellettuale che viaggia, quando se lo può permettere, in Panda e che ha
difficoltà economiche a sostenere il suo aggiornamento sia esso un corso
di perfezionamento o l'acquisto di un libro. In una società basata sul
successo e sull'immagine risulta improponibile come modello e finisce per
risultare socialmente marginale.
La
richiesta che oggi giunge al docente, non solo dagli strati più deboli
della nostra società, è quella di avocare alla sua missione di
educatore, "di chiudere un occhio", di sostituire alla
formazione della persona il semplice ottenimento dell'attestato o del
diploma. Nell'orizzonte dell'autonomia questo atteggiamento finisce per
privilegiare quelle Scuole che ne garantiscono l'ottenimento con una certa
facilità penalizzando quelle che invece mirano ad un più alto livello di
formazione ma così facendo la Scuola cesserà la sua funzione di
ascensore sociale appiattendo verso il basso il livello di istruzione dei
nostri ragazzi.
Se
nella scuola elitaria di molti anni fa, la selezione avveniva
esplicitamente bocciando, non si deve correre il rischio di effettuare una
selezione che, tuttavia, è più subdola: quella nascosta. E' selezione nascosta quella che promuove tutti indiscriminatamente, dando un
pezzo di carta che non potrà mai essere motore di mobilità sociale se
non si sono raggiunti quegli obiettivi formativi che la scuola di oggi
deve continuare a dare.
Per
quanto riguarda il precariato le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Ma chi
sono i precari? Alla domanda se i precari sono tutti coloro che, iscritti
alle Graduatorie permanenti e alle Graduatorie di merito attendono un contratto a tempo indeterminato nella Scuola
Pubblica si può rispondere certamente no.
Questo perché il lavoratore precario è appunto per definizione e per
prima cosa lavoratore (della Scuola Pubblica) e non tutti coloro che sono
iscritti nelle graduatorie sono di fatto lavoratori nella Scuola Pubblica.
Una gran parte di essi non vi ha mai messo piede e se lo ha fatto, lo ha
fatto occasionalmente in quanto impiegato in altri lavori o dipendente di
Scuole Private. Pertanto se si assumono tutti coloro che sono nelle
graduatorie suddette senza distinzione alcuna si finirebbe per escludere
molti precari autentici (lavoratori magari da decenni nella Scuola
Pubblica) per favorire soggetti che per mera definizione non lo sono
affatto in quanto hanno scelto altre soluzioni professionali spesso più
stabili o più remunerative. Chi ha scelto la Scuola Pubblica lo ha fatto
perché in questa, e non in altre soluzioni pedagogiche e formatrici,
fermamente crede.
Pertanto se si vuole risolvere il problema del precariato, assumendo i
veri precari, bisogna verificare non tanto i punti di servizio (anche chi
lavora nelle scuole private li acquisisce) bensì l’effettivo tempo
profuso nella Scuola di Tutti. È questa la soluzione praticata, per
esempio, da molte Scuole Comunali che assumono prioritariamente a tempo
indeterminato solo chi ha effettuato realmente servizio nelle Scuole
Comunali e che pertanto coloro che sono davvero autentici lavoratori
precari del Comune.
Una volta effettuata tale discriminazione resta da chiedersi sono tutti
precari coloro che hanno vinto l’ultimo concorso ordinario bandito nel
1999 e che vengono comunque assunti attingendo dalle Graduatorie di Merito
per il 50% dei posti disponibili?
Anche a questa domanda si può rispondere certamente no. Questo in virtù
del fatto che molti vincitori di Concorso hanno addirittura optato per non
accettare incarichi a tempo determinato. Pertanto se si vuole risolvere il
problema del precariato, assumendo i veri precari, bisogna discriminare
tra chi ha scelto di fare il precario per le ragioni suddette, optando per l’accettazione di
incarichi a tempo determinato e chi non lo ha fatto optando per un lavoro
più stabile.
Non solo ma tra coloro che hanno optato per l’accettazione di incarichi
a tempo determinato vi sono anche coloro che al momento della proposizione
di un incarico da parte dei CSA e dei Dirigenti Scolastici lo hanno
rifiutato pur non essendo impegnati nella Scuola Pubblica e che continuano
a stare in Graduatoria magari davanti a chi non ha mai rifiutato un
incarico da parte dell’Amministrazione.
Quindi dopo avere sottratto dalle Graduatorie di Merito e dalle
Graduatorie Permanenti il numero di coloro che:
1. non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente
nella Scuola privata o in altri impieghi
2. hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato
3.pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
4. sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra
si otterrebbe la dimensione vera del problema.
Quindi se si ha cuore il problema del precariato occorre stabilizzare il
personale autenticamente precario ovvero chi nella Scuola Pubblica
effettivamente lavora e non bandire una campagna indiscriminata di
assunzioni anche se consistente del tipo Todos caballeros! perché tutti,
cavalieri, ahinoi non potranno esserlo.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari, stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito,
il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente motivato
nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
-
Eliminazione
dalle GE di coloro che:
-
non sono precari nella Scuola di Stato perché impiegati stabilmente nella
Scuola privata o in altri impieghi
-
hanno scelto di non essere precari optando pubblicamente per
l’indisponibilità ad accettare incarichi a tempo determinato -
pur optando hanno rifiutato gli incarichi proposti
-
sono di ruolo e usano le graduatorie come scorciatoia per ottenere un
passaggio di cattedra o di ruolo
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Revisione
del 26-05-2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Oltre
alla diminuzione delle risorse economiche destinate alla scuola
lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nella
perdita di status della figura dell'insegnante e nell'eccessivo ricorso al
precariato nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che in
alcuni casi
comporta una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata spesso
non possiede
lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni e
non può sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza. Questi
docenti sono
altresì necessari al normale funzionamento della scuola occorre quindi
stabilizzarli per permettere loro di riappropriarsi del senso del proprio
lavoro e di migliorarne quindi l'efficienza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti su
questo
tipo di organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potrebbero essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più evidente nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Dunque
per
quanto sopra dettagliatamente motivato
nell'ottica di un rilancio dell'efficacia dell'azione educativa e formativa
CHIEDIAMO
-
Il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
-
Fine
dei tagli alle risorse destinate alla scuola pubblica e destinazione
ad essa di maggiori fondi.
-
Cessazione
dei finanziamenti indiretti alla scuola privata e reindirizzamento
degli stessi alla scuola pubblica, almeno fino alla fine
dell'emergenza educativa in atto
-
Maggiore
attenzione alla continuità didattica
-
Misure
contro il precariato e non contro i precari attraverso l'istituzione
di un organico funzionale come meglio descritto nel documento.
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Revisione
del 25-05-2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola.
Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione.
Lo
stato di attesa indefinita comporta una ferita dell'esistenza, una fonte
di ansia immeritata, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che
comporta necessariamente una modificazione qualitativa della propria
prestazione professionale. Il
precario di lunga durata
non può
possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare
in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più necessaria nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Dati
pubblicati recentemente da TRELLLE (Quaderno n.6 dicembre 2006)
mostrano che circa il 75% dei supplenti ha un'alta probabilità di
riottenere una nomina di anno in anno.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività. Oggi
alle O.O.S.S si chiedono forme di lotta più incisive e innovative
del semplice sciopero di una giornata o peggio di un'ora di lezione,
di rifare propria quella storia che il 5 maggio del 1982 vedeva sfilare
davanti al Ministero i 25.000 precari organizzati dal sindacato
ottenere dei risultati.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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Revisione
del 24-05-2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione. Questi non può
possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabile
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare
in
un'altra sede,
il senso derivante è quello dell'estraniazione, della non appartenenza,
dell'impotenza.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica
ancora più necessaria nel caso dei docenti impegnati nelle attività di
sostegno.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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Revisione
del 23-05-2008MANIFESTO
PER UNA SCUOLA DI TUTTI
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
La
discontinuità didattica conseguente al precariato non è la sola causa
del calo qualitativo della scuola. Un altro nodo interessante da
approfondire è la connessione tra la frustrazione del docente precario di
lunga durata e la qualità della sua prestazione. Questi non può
possedere lo stesso senso di appartenenza e di fedeltà all'Istituzione
Scolastica di chi vi lavora da anni o sentirsi pienamente responsabilie
per un lavoro costretto di anno in anno ad interrompere per ricominciare
da un'altra parte.
Per superare il problema del precariato occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale parificabile all'organico di fatto, ricalcando
una soluzione che si era praticata dall’86 all’89, ovvero la creazione
di una “dotazione organica aggiuntiva” su cui immettere in ruolo e
coprire i vuoti nell’organico di fatto.
In un sistema di
questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile. Il
possibile passaggio da
una sede ad un'altra potrà avvenire solo per cessata necessità sulla
sede di partenza onde preservare la necessaria continuità didattica.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari,
stabilito
numericamente,
che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuito, il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dell'utenza
e dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata. Si
evidenzia, inoltre, la dissociazione tra il comportamento dello
Stato datore di lavoro e il comportamento che lo Stato controllore esige
dagli altri datori di lavoro
privati, obbligandoli all’assunzione dopo un certo periodo a tempo
determinato.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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Riteniamo il sistema pubblico dell'istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la formazione di una cittadinanza critica e
responsabile. Crediamo nella libertà di insegnamento così come
enunciato dall’articolo 33 della Costituzione italiana che recita “L'arte
e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento”.
Individuiamo nell’Istituzione Pubblica la migliore garante
dell’imparzialità, dell’autonomia e della libertà della docenza,
della pluralità delle idee, della libertà delle coscienze e di un
insegnamento critico e responsabile di contro ad ogni istituzione
educativa connotata politicamente, ideologicamente o religiosamente.
L’imparzialità del sistema pubblico si concretizza, non tanto
nell’imparzialità dei singoli docenti della scuola di tutti, bensì
nell’alternanza e nell’avvicendarsi di questi nei percorsi educativi
dei discenti.
Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale ed
indispensabile per la crescita economica del paese. Secondo recenti dati
OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento in quanto ad ogni
anno di istruzione in più corrisponde l'aumento di un punto in
percentuale del PIL. Le ricadute dell'istruzione sull'economia sono da
considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di
materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione.
Per realizzare gli obiettivi di cui sopra vogliamo operare e vivere una
scuola di qualità mentre invece i dati OCSE-PISA (Programme for
international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che
valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, rivelano che tra
il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è
diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un
punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari
a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio
degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura
statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media
OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006.
Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i
25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%.
Questi insoddisfacenti risultati sono da attribuirsi al fatto che, di
pari passo allo scadimento delle attese, la spesa per l'istruzione in
rapporto al PIL diminuiva notevolmente attestandosi all’attuale 4,7%
del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima.
Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le
casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o
indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più che si
sarebbero tradotti in un miglioramento dell’efficacia educativa. Gli
investimenti italiani invece si discostano in maniera vistosa dalla media
dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e
Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento.
Evidenziamo che la difficile situazione economica in cui la scuola di
tutti si trova ad operare, di fatto, non consenta alcuna forma di
finanziamento alle scuole private, anche dissimulato. Si evidenzia inoltre
che l’art. 33 della Costituzione recita “Enti e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per
lo Stato.” In virtù di questo, gli stanziamenti agli Istituti
privati, troppo spesso semplici “diplomifici”, andrebbero orientate al
miglioramento delle condizioni della scuola pubblica.
I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti - studenti in Italia,
farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media
europea. Nell'istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per
ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto
inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell'istruzione secondaria 11
studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non
tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che
comprende tra coloro che hanno diritto all'istruzione di tutti anche gli
alunni diversamente abili, ritenendone indispensabile l'inclusione, avendo
abolito le scuole differenziali ghettizzanti. Si consideri il fatto che il
taglio agli organici sul sostegno è una misura miope giacché i costi
dell'assistenza ai disabili nella loro vita dopo la scuola sono più alti,
laddove non si sia intervenuto appropriatamente dall'infanzia all'età
dello sviluppo, favorendo massimamente l'autonomia. La legislazione
scolastica italiana si è evoluta in ottemperanza all’art. 34 della
Costituzione che recita “La scuola è aperta a tutti”.
Confronti con altri paesi non tengono conto della particolare
geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la
dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili
come le piccole isole e le comunità montane. Si pensi, di contro,
all'“esagono” francese o alla Germania, ma anche alla compattezza
geografica di paesi come Belgio e Olanda.
Lo scadimento del successo dell'azione educativa va altresì ricercato
nell'interruzione della continuità didattica degli insegnanti causato
dall'alternarsi dei docenti in un unico ciclo di istruzione sulla stessa
disciplina dovuto ad un intenso ricorso al precariato.
Le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti
per ogni anno scolastico in funzione di formule astratte, in rapporto agli
studenti che l'anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto
definisce l'organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la
singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento
dell'inizio dell'anno scolastico accade che tale numero, di fatto,
risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle
attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto
organico di fatto che si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa 140.000 precari (numero per
difetto) che permetteranno il normale avvio dell’anno scolastico.
Crediamo fermamente che il miglioramento dei risultati educativi passi
necessariamente anche per la stabilizzazione del personale precario al
quale va restituita riconoscibilità sociale e dignità lavorativa.
Per superare questo problema occorre riflettere sull'istituto del
reclutamento dei docenti che va ripensato in termini di organico
funzionale parificabile dunque all'organico di fatto. In un sistema di
questo tipo i docenti sull'organico funzionale avrebbero le stesse
garanzie contrattuali dei docenti in forza all'organico di diritto ma non
la sede definitiva in quanto potranno essere spostati, se necessario, di
anno in anno a seguito delle esigenze dell'Amministrazione scolastica,
fino al momento di passare all'organico di diritto stabile.
Fuori da questo sistema resterebbe solo un esiguo numero di precari che
nella scuola di domani dovrà rappresentare più l'eccezione che la regola
e come tale dovrà essere retribuita, il docente precario non dovrà più
rappresentare un risparmio di spesa per lo Stato bensì un aggravio. Ciò
per compensare da un lato la condizione economica e sociale di chi avrà
un contratto a tempo determinato, dall’altro per evitare la tentazione
di ricorrere al precariato ogni volta che si voglia far cassa calpestando
di fatto i diritti elementari dei lavoratori più deboli.
Si sostiene che è necessario ricorrere al precariato ogni qual volta il
carico di lavoro per un’azienda o per un’istituzione si fa eccezionale
mentre nella scuola, a smentire l’eccezionalità del ricorso ai precari,
è stato coniato un termine per indicare la precarietà di lunga durata,
si dice precario storico colui che da più anni è impiegato con contratto
a tempo determinato. La storicità del precariato scolastico rivela
dunque non l’eccezionalità di un evento bensì una pratica abusata.
Occorre che le O.O.S.S. prendano atto dell’insostenibilità del
protrarsi di una simile situazione, oggi al sindacato si chiede di
mettere da parte la timidezza e di svolgere il ruolo che gli è proprio
ovvero aggregare e sostenere le persone a salvaguardia dei propri
elementari diritti al di là di facili proclami e sterili comunicati
stampa. Se questo non sarà praticabile resterà l'esasperazione dei
lavoratori precari che spinge verso altre forme di lotta da cui le O.O.S.S.
tutte resterebbero tagliate definitivamente fuori perdendo il senso del
proprio ruolo e il diritto di rappresentatività.
Riteniamo che l’efficacia dell’azione educativa passi necessariamente
per l'immissione in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili.
Chiediamo dunque il sostegno della società civile tutta, delle
associazioni di categoria, delle associazioni dei genitori, dei mass –
media, delle Istituzioni, dei Sindacati affinché siano vicine alla lotta
dei lavoratori della scuola a salvaguardia della qualità
dell’istruzione pubblica e del futuro dei nostri giovani.
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