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Come introduzione alla bibliografia completa
riguardante gli scritti degli storici della filosofia e le opere di critica ad
essi dedicate, è opportuno presentare brevemente le vicende che hanno
accompagnato e favorito la produzione di storia della filosofia che è apparsa in
Italia nell’Ottocento.
1. Età della Restaurazione
Esaminiamo la cultura italiana nei rapporti con la
filosofia dall’età della Restaurazione alla fine dell’Ottocento. La cultura
italiana dell’età della Restaurazione è dominata dal movimento romantico in
letteratura. Si riscontra la tendenza al ritorno alla tradizione cristiana, che
si esprime senza esasperazioni speculative o religiose. Non si riscontrano però
motivi di originalità, né nel modo di vivere la rivendicazione della centralità
del cristianesimo nella cultura, né nel modo di continuare la tradizione
illuministica, procedendo verso una ripresa delle dottrine liberali e
liberistiche.
Se si vogliono trovare nella produzione speculativa italiana analogie con quella
della Germania o della Francia, il quadro filosofico risulterà limitato. In
Italia i pensatori e gli studiosi tra il 1814 circa e il 1850 non appaiono
animati da quello spirito di creatività speculativa e da quell’entusiasmo per il
nuovo che contraddistingue le nazioni europee più avanzate. L'ambiente culturale
risente per molti versi della mancanza di libertà politica e di autonomia
nazionale. Tuttavia, guardando complessivamente alle strutture universitarie e
culturali in genere, e considerando anche il panorama politico, si possono
notare spunti filosofici d’un certo interesse, specialmente riguardo al crescere
d’una consapevolezza della tradizione ininterrotta degli studi filosofici
italiani. Infatti quel che resta agevole da farsi alle forze più reattive è
soprattutto ricostruire la tradizione speculativa italiana, per ciò che essa
sembra comportare di originale, tentando di stabilire nel contempo stretti
legami con le correnti straniere più vivaci e rilevanti, eredi del pensiero dei
secoli XVII e XVIII. Si distinguono in questo compito Antonio Rosmini e Vincenzo
Gioberti nell’Italia settentrionale, e Pasquale Galluppi nell’Italia
meridionale.
La prima metà dell'Ottocento si
presenta sotto il segno della dipendenza dalle correnti storiografiche
straniere. Le traduzioni di opere francesi e tedesche di storia generale della
filosofia sono una caratteristica della nostra cultura, che mostra così il
desiderio di supplire con le traduzioni alla carenza di opere generali concepite
e scritte in lingua italiana e di solido impianto. Sono tradotti dalla lingua
tedesca i grossi lavori di Buhle
[2], di Tennemann (su cui cfr. più
avanti) e di E. Schmidt
[3],
ed anche i manuali di G. Lichtenfels
[4]
e di K. F. L. Kannegieszer
[5]; dalla lingua francese i lavori di C.
Renouvier
[6], J. Tissot
[7] e L. A. de Salinis e di B. D. de
Scorbiac
[8]. Il riferimento
al pensiero francese attraversa tutta la cultura filosofica italiana dei primi
decenni dell'Ottocento, sia per gli stretti legami politici con la Francia
durante il periodo napoleonico e sia anche perché intensa appare la circolazione
delle opere filosofiche, prima degli
Idéologues
e poi degli spiritualisti eclettici.
La storiografia filosofica nasce e si sviluppa tra
la dipendenza dalle idee provenienti dalla Francia e la presa di distanza
interpretativa rispetto a queste stesse idee. In questo caso quello che possiamo
considerare uno scontro tra la cultura italiana e la cultura francese, si
arricchisce dell'interlocutore germanico. La diffusione del movimento romantico
in Italia dipende certo più dalla Francia che dalla Germania: però la
suggestione esercitata dai filosofi tedeschi, e dagli idealisti in particolare,
supera ogni riserva nazionalistica.
Profonde sono le differenze tra la situazione scolastica
e universitaria italiana e la situazione delle Università tedesche ed
austriache, a riguardo dell'insegnamento della storia della filosofia. In questa
diversa destinazione dello studio dello sviluppo del pensiero umano si giocano
anche i destini della cultura di lingua germanica e quella di lingua italiana.
La nostra cultura è arretrata rispetto alle “tecniche” della ricerca e della
narrazione della storia della filosofia. Mentre le grandi scuole storiografiche
tedesche dibattono problemi rilevanti per la comprensione del pensiero
occidentale, nell'ambito italiano l'interesse per lo studio della storia della
filosofia resta limitato ad un circuito colto, anche se non necessariamente
scolastico, ed è articolato sulla divulgazione e sulla sintesi interpretativa
del corso storico della filosofia nel Paese e nei suoi rapporti con le altre
tradizioni speculative. Si delinea così una prevalenza di ricerche storiche
incentrate sulle caratteristiche della filosofia italiana: scelta che, nella
prima metà del secolo XIX, penalizza tanto la ricerca monografica quanto la
consapevolezza teorica circa il problema della storia della filosofia.
La decisione prevalente di
trattare storicamente dell'eccellenza della filosofia italiana sorge in
conseguenza della necessità, avvertita fin dagli inizi dell'età della
Restaurazione, di collegare il rinnovamento del pensiero italiano, che è
proclamato nel nome della lotta al sensismo degli Illuministi ed al
soggettivismo di Kant, con le origini antichissime del filosofare nella penisola
italiana. Prende sempre più piede in Italia la consapevolezza che il riscatto
nazionale dovrà avvenire in concomitanza con uno sviluppo culturale
significativo, di cui la presa di coscienza delle radici nazionali del
filosofare è parte prioritaria. I filosofi e gli storici italiani non sono in
grado però di impostare un corretto discorso di teoria della storiografia, e
sono perciò costretti a prendere ispirazione dalle teorizzazioni che vengono da
oltralpe.
2.
I “Supplimenti” a Tennemann di Baldassarre Poli
Baldassarre Poli, il primo autore ottocentesco che
in Italia si cimenta su una storia generale della filosofia, risente del
kantismo, in fase di diffusione anche in Italia (del 1819 è la prima traduzione
italiana della Critica della ragion pura)
[9] solo perché ha un diretto rapporto
con le opere del kantiano Wilhelm Tennemann. Il manuale del pensatore tedesco,
il Grundriss der Geschichte der Philosophie,
apparso nel 1812, ripubblicato con integrazioni nel 1820, viene tradotto in
italiano (dalla versione francese cousiniana) nel 1832, da Francesco Longhena,
con le note di Gian Domenico Romagnosi e dello stesso Poli
[10]. Quest’ultimo spiega di aver deciso di scrivere non
soltanto note, ma addirittura copiosi completamenti all’opera, in quanto non
solo essa risulta carente, a livello di trattazione, dei pensatori dell’India,
Cina e Persia, ma è addirittura incompleta o reticente sugli ultimi sviluppi del
pensiero inglese (e pure scozzese ed irlandese) nonché di quello francese. Per
l’Italia la situazione del manuale è, vista da Poli, senz’altro disperata,
essendosi Tennemann fermato ad una semplice menzione di Vico e di Genovesi
[11]. Di qui la decisione di stendere non un completamento,
se pure copioso, come per i pensatori francesi, inglesi ed orientali che erano
stati trascurati, ma una vera e propria storia della filosofia italiana.
Nel 1832-35 era sorto un
“concorrente” al lavoro di Longhena, Poli e Romagnosi nell’impresa di “volgere”
in italiano Tennemann, cioè l’abate Gaetano Modena, docente
all’Università di Pavia. Questi aveva pubblicato del manuale del Tennemann, non
solo una traduzione, direttamente compiuta dalla lingua tedesca (elaborata negli
anni Venti, ma poi fatta comparire nel 1832), ma anche un volume di
Supplimenti (1835)
[12],
dove alla filosofia italiana era dedicata solo una parte di completamenti
rispetto alla trattazione di Tennemann. Guardando probabilmente alla scelta
compiuta da Modena, corredata da un’esplicitazione speculativa di sapore
eclettico, Poli ritiene che la decisione migliore da prendere sia quella di
tracciare l’intero disegno storico del pensiero italiano.
Poli riteneva di poter in tal modo operare una
correzione al metodo di Tennemann, dichiaratamente kantiano, e di essere in
grado di introdurre considerazioni più complete sui sistemi filosofici che si
erano susseguiti nella storia. Tennemann aveva individuato alcuni grandi sistemi
in cui lo spirito umano si era riconosciuto, senza peraltro riuscire a delineare
un punto d’arrivo di verità assoluta. Con la conseguenza che la filosofia
critica era stata indicata come l’unica in grado di giudicare questi tentativi.
Ora invece Poli indicava la possibilità di attivare un metodo conciliativo che
salvasse le aspirazioni di verità di ciascuno dei grandi sistemi. Il campo in
cui “sperimentare” questo metodo era proprio la storia della filosofia italiana,
il cui sviluppo, secondo Poli, si prestava a un’indagine approfondita.
Riprendendo la posizione di Cousin, traendo cioè ispirazione dalle sue opere
[13],
pur senza manifestarlo apertamente, Poli riteneva di poter completare Tennemann.
Ai tre grandi sistemi, e cioè Empirismo o Sensualismo, Idealismo o Razionalismo,
Soprannaturalismo o Misticismo, era opportuno aggiungere un quarto sistema,
l’Eclettismo. La storia della filosofia, se adeguatamente esplorata, era in
grado di indicare l’Eclettismo come il sistema conciliativo delle tensioni
metafisiche, anziché il Criticismo, indicato da Tennemann, il quale, nei suoi
scritti storici, aveva posto in luce l’incapacità dei sistemi filosofici di
elevarsi alla verità, di essere cioè dei veri sistemi metafisici.
Restando fedeli a dei sistemi esclusivi, alcuni pensatori,
a detta di Poli, non hanno considerato la conciliabilità dei sistemi filosofici.
Altri però hanno affermato che il fondamentale dualismo filosofico, quello tra
empirismo e razionalismo (cui si riducono tutte le diversità di sistemi), possa
essere conciliato. L’Eclettismo rappresenta la tendenza ad una conciliazione dei
due sistemi fondamentali, che non si unificano dialetticamente ma che sono
spinti naturalmente ad accostarsi, soprattutto a motivo dell’estenuarsi dei loro
contrasti, in un nuovo sistema che si proporrebbe di tenere conto di entrambe le
prospettive, senza giustapporle ma fondendole
[14].
L’Eclettismo storicamente delineatosi nell’età antica (nel periodo alessandrino)
come “philosophia electiva”, o pure il sincretismo, che ad esso sembra
assomigliare, sono solo dei tentativi parziali di realizzare questa tendenza che
è in sé generale e che significa l’instaurarsi di un vero sistema insieme
rispettoso dell’esperienza e dei concetti della ragione. Il vero Eclettismo
nasce fin dal Pitagorismo e si sviluppa in alternanza con gli altri grandi
sistemi. La filosofia italiana, a parere di Poli, ha saputo sviluppare
costantemente questa visione.
3. Eclettismo cousiniano e diffusione della
“filosofia trascendentale”
Il punto di vista eclettico cousiniano compare
compiutamente sviluppato in Italia qualche anno dopo la divulgazione delle
teorie di un “eclettismo italico” - di Modena e soprattutto di Poli - e in un
certo senso si accompagna con le prime avvisaglie di un utilizzo del pensiero
dialettico tedesco. Fin dai primi anni Venti, Cousin ha intensi rapporti con la
cultura italiana, si pensi agli scambi epistolari con Manzoni. Però la sua
metodologia della storia della filosofia verrà conosciuta a fondo solo nel corso
degli anni Trenta, cioè quando verranno
divulgati i suoi volumi più importanti sulla storia del pensiero.
Nella diffusione del più prossimo ed agevolmente
consultabile eclettismo vi è, poi, un’attesa di informazioni e approfondimenti
relativi alla filosofia trascendentale tedesca. Questo atteggiamento, di
considerare l’Eclettismo mezzo di accesso a correnti più avanzate, diverrà
dominante in Italia intorno agli anni Quaranta. Si noti il “ritardo” nella
nostra cultura. Hegel è ormai morto da un decennio, le sue opere circolano da
parecchio tempo, le sue lezioni berlinesi sono note in tutta Europa, e ciò
nonostante la cultura italiana cerca contatti con la cultura tedesca attraverso
il magistero cousiniano. Si dovranno attendere gli anni dopo il 1845 perché la
conoscenza del pensiero hegeliano penetri con una certa rilevanza soprattutto
nel pensiero meridionale con le prime “letture” di Bertrando Spaventa. Di scarso
impatto sono le prime traduzioni in lingua italiana delle opere hegeliane:
Giovanni Battista Passerini traduce infatti senza grande successo le lezioni
sulla filosofia della storia nel 1840
[15].
Possiamo ritenere a questo punto che inizialmente vi siano
in Italia fedeli seguaci dell’eclettismo per i vantaggi metodologici che ne
derivano dall’accettare quella visione della storia della filosofia (come è il
caso, oltre a Poli, del siciliano
Salvatore
Mancino[16]),
ma altri metteranno in relazione il pensiero di Cousin alle dottrine dei
pensatori tedeschi, di cui viene considerato il divulgatore, partecipando
generalmente delle loro posizioni. Le voci seriamente impegnate a far fruttare
le trattazioni cousiniane si sentono risuonare in ambiente meridionale. Si
distinguono soprattutto
Stefano
Cusani
[17] e
Stanislao
Gatti[18]
i quali dalle pagine delle riviste napoletane “Progresso”, e “Museo”, sul finire
degli anni Trenta e nella prima metà degli anni Quaranta, scrivono per divulgare
il pensiero di Cousin, e per sondarne le potenzialità. Gatti e Cusani ricercano
la formula migliore per fare storia della filosofia in senso del tutto
universale. Nessuno dei due farà concretamente lo storico: Cusani perché
scomparve prematuramente e Gatti perché, dopo la reazione borbonica, si chiuse
in un silenzio indecifrabile.
Sempre a Napoli, la ricerca storica sarà invece praticata
da studiosi meno impegnati su questioni metodologiche, ma egualmente interessati
a far prevalere il punto di visto eclettico-spiritualistico:
Michele
Baldacchini Gargano
[19]
e David Winspeare
[20]
cercano una mediazione tra la visione eclettica e la filosofia di Galluppi.
Negli ambienti culturali italiani che
non sono influenzati da Cousin, la visione hegeliana dello sviluppo storico
della filosofia finisce egualmente con il far capolino, senza però che venga
compreso fino in fondo il metodo di Hegel. Il primo a divulgare la filosofia
hegeliana e la sua concezione della storia della filosofia è l’abate toscano
Domenico Mazzoni
[21].
Ricordiamo inoltre, come segno di una penetrazione delle istanze hegeliane
alcune interessanti osservazioni sulla necessità che gli italiani ricostruiscano
la storia della ragione umana, vera condizione per un allineamento dello spirito
della nazione alle posizioni dei paesi che meglio hanno saputo realizzare il
loro primato culturale. Esse provengono da un personaggio non sospettabile di
propensioni per l’hegelismo, cioè da
Cesare
Correnti, figura di spicco del liberalismo
lombardo
[22].
Appaiono interessanti alcune affermazioni in un articolo del 1840. Correnti,
dopo aver affermato che “è la fede nell’importanza e nella fecondità dell’idea
che manca al genio del tutto empirico della nostra civiltà, la quale non fu mai
ammessa alla pericolosa fatica di realizzare i grandi concetti filosofici”,
propone alla cultura della nazione di recuperare il tempo perduto attraverso lo
studio della storia della filosofia, onde poter comprendere la dinamica
autentica delle idee
[23].
4. La storiografia filosofica ispirata alla
“filosofia dell’esperienza”
Nell’Italia degli anni Quaranta non è solamente
l’ambiente meridionale ad affermare l’importanza di un approfondimento del
sapere critico storico-filosofico. Sarebbe sbagliato ridurre le spinte
innovative in Italia alla sola diffusione dell’idealismo trascendentale. Esiste
in contemporanea al diffondersi dell’hegelismo, cioè tra gli anni Trenta e
Quaranta, uno sviluppo di indagini e di interpretazioni tese a valorizzare la
tradizione che si è manifestata in Italia fin dai tempi antichissimi riguardo al
sapere empirico-sperimentale.
Nell’Italia del Nord, dopo il 1830, sono
egualmente forti l’influsso del pensiero di Rosmini, decisamente antisensista, e
l’influsso dell’eredità scientifica del Seicento e del Settecento. Entrambi
questi orientamenti sono, rispetto alla concezione della storia della filosofia,
avversi all’hegelismo. In Italia l’incipiente orientamento hegeliano è confutato
e contrastato soprattutto da quello che privilegia l’elemento sperimentale.
L’impostazione rosminiana contesta non tanto l’idealismo in quanto tale, quanto
il tipo di dialettica che esso propone, anche per la spiegazione della storia
della filosofia. Non si può dimenticare che anche il pensatore che appare più
orientato a scelte spiritualistiche, cioè Galluppi, propende per una
valorizzazione dell’elemento empirico-sperimentale. Significativa è la
circostanza che Correnti, nel suo articolo prima citato, rimpianga l’assenza,
nella tradizione del pensiero e dello spirito italiano, dei “grandi concetti
filosofici”. La causa di tale assenza è fatta risalire al “genio del tutto
empirico” della civiltà italiana. Affermazione questa che è rivolta senza dubbio
ad esorcizzare quella tendenza all’indagine puramente sperimentale, che sembrava
essere, in fondo, un grande patrimonio storico, a partire da Galilei, e
dall’Accademia del Cimento. L’articolo di Correnti, pare quindi contrastare
proprio l’orientamento che si stava manifestando negli anni Trenta, teso a
rivalutare ed esaltare, attraverso lo strumento storiografico, la “filosofia
dell’esperienza”.
L'egemonia del sensismo in Italia era
stata rafforzata, agli inizi del secolo XIX, dalla corrente dell'Ideologia, che
era penetrata negli ambienti colti italiani tanto al Nord quanto al Sud. Non è
sempre chiara la demarcazione tra adesione al sensismo e sviluppo di posizioni
legate al pensiero degli
Idéologues. Possiamo dire che
è vicino a questo pensiero l’abruzzese Pasquale Borrelli. Nella sua opera
Introduzione alla filosofia
naturale del pensiero
[24],
alla prima sezione, egli presenta un breve schizzo del corso del pensiero umano
riguardo al problema della mente. Questa delineazione storica generale non
merita di per sé grande attenzione: tuttavia secondo Gentile, essa avrebbe avuto
“il gran pregio di essere il primo tentativo filosofico di storia della
filosofia italiana”
[25]. In verità, non
sono del tutto chiare le benemerenze di questo centinaio di pagine, in cui la
storia del pensiero umano viene esaminata con superficialità. L’impostazione di
questa prima parte dell’Introduzione
ha diverse analogie, per contrario, con la prima parte del
Nuovo saggio sull’origine delle idee
di Rosmini. Infatti a questo lavoro il pensatore di Rovereto premise alla
trattazione di quella che potremmo definire una “filosofia divina del pensiero”
(in contrapposizione alla “filosofia naturale del pensiero” auspicata da
Borrelli), un excursus
storico che aveva motivazioni analoghe a quelle di Borrelli, ma che intendeva
dimostrare l’esatto contrario, e cioè che l’eccesso di smarrimento rispetto
all’autentico metodo del pensiero sta nel sensismo e non nel razionalismo.
Sensismo e sperimentalismo si alleano, nella
filosofia italiana della prima metà del secolo XIX, nell’indicare certe
“tradizioni” filosofiche la cui storia appare utile e paradigmatica. La
consapevolezza di un'originalità del pensiero italiano affiora assieme ad alcuni
spunti storiografici con lo scritto di
Terenzio
Mamiani della Rovere,
Del rinnovamento della filosofia antica italiana,
lavoro incerto nei fondamenti storici, condotto secondo un intento del tutto
teoretico
[26]. In
essa l'autore intende giustificare la propria prospettiva, d’una conciliazione
dell'idealità del pensiero con la positività dell'esperienza: in tal modo è
spinto ad asserire che tale conciliazione si era manifestata già a partire dai
filosofi italici, dai pensatori cioè fioriti nella Magna Grecia. L’ispirazione
di Mamiani è quella del pensiero vichiano, a riguardo all'antichissima sapienza
degli italici; inoltre egli riecheggia le tesi contenute nello scritto di
Vincenzo Cuoco, il Platone in Italia
[27].
Le tesi del pensatore di
Pesaro attirarono l’attenzione di parecchi studiosi in Italia: le critiche di
Rosmini, manifestate nel 1836, in un’amplissima opera di analisi del
Rinnovamento
[28], furono
scarsamente condivise. Nell’immediatezza della polemica tra il Pescarese e il
Roveretano, si schierò con Mamiani
Luigi Blanch,
il quale sviluppò, nella recensione all’opera
[29], un ragionamento che
condivideva la tesi del primato della filosofia italiana come filosofia
dell’esperienza, modificandola in senso universalistico. Nonostante le carenze della sua impostazione
teorica e l’incertezza della stessa interpretazione storica, Mamiani ha indicato
alla cultura italiana la necessità di ritornare alle origini antichissime, onde
recuperare le “radici” intellettuali della nazione. Richiamandosi alla
tradizione che va da Empedocle e Archimede a Galilei, che indirizza gli studi
filosofici e scientifici ad una filosofia dell’esperienza
[30], Mamiani ha incoraggiato
parecchi autori ad esprimere la loro visione storica. Gli schizzi storici delle
origini e delle vicende del pensiero italiano che sono ispirati alla tesi
mamianesca hanno tutti in comune l’intuizione che la filosofia sorta in Italia
non abbia da invidiare le filosofie delle altre nazioni. Il complesso delle analisi storiche volte a
celebrare i meriti della filosofia italiana e la sua possibile ripresa come
filosofia dell’esperienza vede alcuni nomi rilevanti di studiosi come il
napoletano
Francesco
Paolo Bozzelli
[31], i torinesi
Francesco
Bertinaria
[32]
e Lorenzo Martini
[33], il lombardo
Giuseppe
Pezza-Rossa
[34], ed i toscani
Clemente Sancasciani
[35] e
Silvestro
Centofanti
[36].
Nel raffronto con la storiografia di altri paesi,
l’interpretazione della filosofia dell’esperienza come nota caratteristica della
filosofia italiana, opposta alle altre “scuole” europee, appare piuttosto
discutibile. Resta comunque il fatto che larga parte della cultura italiana
appoggiò questa concezione sperimentalistica della filosofia e della civiltà, ed
è certamente questo un elemento che va considerato per comporre un quadro
attendibile degli orientamenti storiografici presenti in Italia.
5. Pasquale Galluppi, storico del pensiero antico e
moderno
I maggiori filosofi che
l'Italia abbia avuto nell'Ottocento, cioè Galluppi, Rosmini e Gioberti, sono
consapevoli, affrontando il problema d’uno sguardo generale sulla storia della
filosofia, che il vero problema della filosofia italiana sta nel fare i conti
con il pensiero moderno, e nello stesso tempo collegarsi alle proprie radici. A
due di loro, Galluppi e Rosmini, dobbiamo, oltre che una produzione di natura
metafisica e gnoseologica di rilievo, anche una pratica notevole della
storiografia filosofica, che rivela un'alta consapevolezza del problema storico
della filosofia. Al terzo, cioè a
Vincenzo Gioberti, si deve quell'originale impostazione del problema della
storia della tradizione nazionale in chiave religiosa, formulata nel
Primato, che fu base di
dibattito e di scontro nell'ambiente italiano anche dopo la conclusione
dell'esperienza risorgimentale. In ogni caso in Gioberti si manifesta una
mentalità molto interessata all'approccio storico al problema della filosofia,
anche se egli ha mancato alla promessa (formulata nell'Introduzione
allo studio della filosofia)
[37]
di dare una compiuta storia della filosofia (almeno riferita al periodo antico,
ed in particolare alle origini).
La personalità di Rosmini sembra oscurare quella di
Galluppi, il cui impegno nella riflessione sul pensiero moderno dapprima e su
tutto il corso del pensiero poi invece fu notevole. La mentalità dei due autori
è divergente: tanto è attento Galluppi agli sviluppi del pensiero moderno, ed in
genere di tutto il pensiero umano, con mentalità portata alla lettura fedele, e
tendenzialmente oggettiva, dei testi e delle circostanze, quanto è Rosmini
portato a “dominare” le scuole e le correnti ed i pensatori riconducendo la loro
produzione allo schema dei sistemi essenziali per lo spirito umano
[38].
Pasquale
Galluppi non solo ebbe una discreta
incidenza sulla filosofia del suo tempo, ma anche in seguito rimase sotterraneo
ispiratore di varie generazioni di giovani. Tale influenza si deve al fatto che
ebbero una buona circolazione, anche a livello scolastico, sia i suoi
Elementi di filosofia
[39] (per Gentile “i migliori testi di filosofia per le
scuole”)
[40], che le sue
Lettere filosofiche
[41]. Francesco Fiorentino affermò: “La storia della
filosofia è cominciata in Italia con questo piccolo e meraviglioso volume”
[42]. Apprezzato fu soprattutto il
metodo storico-espositivo di Galluppi, che permetteva di comprendere bene gli
snodi del pensiero moderno.
L’opera storica generale di Galluppi, la Storia
della filosofia
[43], non ebbe invece successo, e rimase quasi ignorata,
venendo addirittura considerata da taluni come un vano tentativo senile di
imitare le grandi storie filosofiche del Settecento
[44].
La concezione storiografica del pensatore calabrese non è
evidente a prima vista. Occorre leggere attentamente le
Lettere e l’incompiuta
Storia della filosofia per
ricavare le linee interpretative della storia della filosofia e le scelte
metodologiche operative. L’impresa di scrivere una storia compiuta della
filosofia si giustifica, secondo il pensatore calabrese, per il fatto che,
avendo riscontrato con le Lettere filosofiche
un modo d’essere dei sistemi filosofici moderni, da Descartes a Kant, come
concatenati e geneticamente sempre presenti gli uni agli altri, è indotto a
ritenere che altrettanto vi siano concatenazioni di soluzioni presenti nelle
prime scuole della Grecia intorno all’origine ed alla generazione dell’universo.
Galluppi afferma che la storia della filosofia non
si deve trattare a priori e che l’errore è uno dei mezzi analitici per trovare
la verità
[45].
Egli ritiene che la conoscenza dei sistemi filosofici che derivano gli uni dagli
altri sia offerta dall’osservazione di essi, così come realmente si sono
presentati e non dalla preliminare conoscenza di alcuni concetti-chiave. In
questo senso si distacca notevolmente dal metodo proposto dai giovani “ecletticheggianti”
che scrivevano sul “Progresso” e sul “Museo”, ma ancor più
dal metodo che sarà di Rosmini. La storia della filosofia deve seguire i
progressi della filosofia, ma non può disporre i sistemi in altro modo che
quello del loro comparire e strutturarsi storicamente. Questa sua concezione di
fondo verrà assimilata anche da alcuni valenti scolari e seguaci come
Enrico
Pessina
[46] e
Luigi Palmieri
[47].
La filosofia, secondo Galluppi, si costruisce per
progressiva universalizzazione dei problemi posti sia dal senso comune che dal
pensiero scientifico. Il sapere filosofico si delinea con la tensione a gradi di
astrazione e di universalizzazione che rendano possibile la comprensione di
tutta la realtà. Esso ha innanzitutto bisogno, per realizzarsi, di un adeguato
grado di sviluppo del genere umano. Galluppi quindi respinge l’apriorismo di chi
pensa di definire prima la filosofia e poi di affermarne i possibili sviluppi.
Occorre invece constatare come il pensiero umano si sia sollevato dal senso
comune all’astrazione della scienza ed alla successiva astrazione filosofica.
Galluppi dichiara quindi di ritenere fondamentale nello studio della storia
della filosofia il giudizio circa il valore dei diversi sistemi filosofici
secondo il loro presentarsi entro gli ambiti storici
[48]. Di conseguenza si sofferma
innanzitutto sulle concezioni degli antichi riguardo all’origine del mondo, ma,
anziché far corrispondere alle diverse concezioni diversi contesti storici,
preferisce un’indagine comparativa riguardo ai problemi posti all’umanità dal
suo aprirsi al mondo ed all’esperienza. La sua attenzione è attratta dal modo
con cui il pensiero antico affronta il problema del mondo. Egli è convinto che
la caratteristica della speculazione antica sia quella di occuparsi della realtà
metafisica che spiega il mondo e l’uomo. Uno sviluppo ulteriore e più raffinato
del problema filosofico fa emergere l’uomo come centro da cui si irradia la
comprensione della realtà.
Nel tentativo di fornire un quadro completo dei problemi
filosofici secondo il loro presentarsi nella storia, Galluppi ha ritenuto
fondamentale per il filosofare del suo tempo il problema della conoscenza.
All’inizio del suo impegno storico, tra il 1819
[49] ed il
1827, egli non pensava probabilmente di esser chiamato a studiare l’intero
processo storico della filosofia invece che il solo pensiero moderno. Il metodo
di affidare la conoscenza dei pensatori moderni alla colloquialità di una
lettera appare interessante nella misura in cui Galluppi vuole evitare la
trattazione erudita e paludata, al fine di cogliere il senso preciso del
kantismo per gli uomini del suo tempo. Lo scopo delle
Lettere
era quello di porre dei punti fermi sulla genesi delle dottrine circa la
conoscenza, da Cartesio al criticismo kantiano, passando attraverso l’empirismo.
Dallo studio di tale sviluppo Galluppi è passato al problema cosmologico,
essendo stato quello che ha caratterizzato sia il pensiero filosofico alle
origini della filosofia, che quello che si interroga circa le origini del mondo.
6. La storiografia filosofica “teoretica” di
Antonio Rosmini
Antonio Rosmini ritiene
che la verità non si possa cercare se già non se ne ha un possesso in termini di
forma della conoscenza. Egli afferma che l’intuizione dell’Idea dell'essere
rende possibile la conoscenza ed orienta l'uomo verso ciò che è anzitutto la
verità nella sua compiutezza: la pienezza dell’Essere. Su quest’Essere i
filosofi nella storia hanno indagato con profitto, pur non essendo sempre
pervenuti a comprenderne interamente il ruolo primario come forma della
conoscenza, oggetto dell'intuito, condizione essenziale perché esistesse
conoscenza oggettiva, garanzia della certezza. Rosmini ritiene che la
speculazione umana e la stessa religiosità abbiano sempre riconosciuto la
distinzione tra l'Essere divino come Verità, ed il divino, inteso nell'idealità
dell'essere presente alla mente dell'uomo, come condizione della verità. La
confusione tra Dio e divino ha generato gli errori del panteismo e dell’empietà.
La metafisica dell'Occidente,
secondo quanto Rosmini afferma nell’opera Del
divino nella natura terminata intorno al 1854, e
pubblicata postuma, è segnata, come del resto ogni altra metafisica, anche
dell'Oriente, dall'idealità dell'essere come condizione della speculazione, e
procede attraverso prove sempre più ardue all'affermazione della triadicità
dell'essere
[50].
La storiografia filosofica si giustifica proprio sulla base della necessità di
interpretare le tappe di questa ricerca della verità, ricerca che altro non è
che lo scoprimento d'una condizione della mente umana in cui l'essere ideale
gioca un ruolo essenziale, ruolo che, se delineato e chiarito, porta ad una
consapevolezza nuova. Rosmini produce parecchi scritti in cui la rassegna
storica gioca un ruolo importante al fine di rafforzare la dimostrazione sempre
più stringente della costruzione del “sistema della verità”. La prima parte del
Nuovo Saggio
[51];
l’opera Storia comparativa e critica de’ sistemi
intorno al principio della morale, che segue
l’opera Principj della scienza morale
[52];
l’ampia appendice al vol. I della Psicologia
dedicata alla storia delle concezioni antiche sull’anima
[53];
le opere postume Aristotele esposto ed esaminato[54],
il Saggio
storico-critico sulle categorie
[55] ed
infine l’intero impianto dell’opera Del divino
nella natura
[56] costituiscono un rilevante
contributo alla storia generale della filosofia.
Già negli anni della sua giovinezza il Roveretano
aveva posto come peculiare della storiografia la “classificazione dei principi”.
Abbiamo nel 1825 un’importante lettera al filosofo romano
Luigi
Bonelli, che scriverà,
alcuni anni dopo, un’interessante opera generale di storia della filosofia ad
uso dei Seminari ecclesiastici
[57]. Una delineazione dei sistemi
filosofici secondo le scuole che si sono susseguite nel tempo e secondo le
dottrine dei caposcuola, proposte nelle loro opere e nella sequenza delle loro
dimostrazioni, afferma Rosmini, si espone al rischio di non penetrare a fondo
l'essenza dei problemi filosofici messi in campo e sviluppati nei vari tempi. Le
filosofie si classificano “secondo la diversità de' principi che pongono”, e
cioè considerando non tanto in primo luogo testi e filosofi, oppure parti di
verità contenute nei sistemi, quanto principi direttivi, tali da sostenere
logicamente un certo sistema.
Nel 1825 Hegel aveva già
ampiamente delineato la sua posizione, secondo la quale la sequenza storica
della comparsa dei sistemi coincide essenzialmente con il sistema dell’Idea in
sé. Rosmini, che ancora non conosceva nulla del filosofo tedesco (leggerà suoi
scritti solo a partire dagli anni Trenta), assume, senza saperlo, una posizione
antitetica a quella delineata da Hegel nelle lezioni berlinesi. Il pensatore di
Rovereto afferma che non si potrà mai avere una classificazione perfetta dei
sistemi filosofici ed una storia della filosofia “fino a che non
sarà stata fermata la
perfezione stessa della filosofia”. Ma un raffronto della perfetta filosofia con
le altre filosofie, “non perfette o false” è qualcosa di impossibile nella sua
assolutezza: si può soltanto compiere un raffronto tra ciò che è certo, entro i
diversi principi che reggono diverse parti della filosofia, e le filosofie
varie, indicando gli errori e le falsità in cui cadono
[58].
A Baldassarre Poli, alcuni
anni dopo la lettera inviata a Bonelli, quando compaiono i
Supplimenti, Rosmini scrive
che le classificazioni da lui proposte delle posizioni del pensiero italiano non
sempre riescono a far discernere la verità dall’errore. Nella storia del
pensiero italiano si dovrebbero vedere “e i pericoli de' viaggi filosofici
tentati dall'ingegno umano, e gli ardiri e i naufragi e le felici scoperte”. Se
alla storia della filosofia manca quest’indagine, afferma Rosmini, e se, senza
alcun “discernimento”, si uniscono “gli uomini grandi ed originali col minuto
volgo de' filosofi”, se non si distingue “la buon'audacia delle investigazioni
dalla temerità”, se non si insegna quali furono i filosofi che pervennero al
vero, e quelli che “perirono sul cammino prima di giungervi, quali altresì
ordinarono il regno della filosofia, e quali lo scomposero, quali finalmente con
nuove e più savie leggi li riordinarono”, allora il risultato è una composizione
fredda, inutile e quasi “perniciosa”
[59].
La storia della filosofia, insomma, appare
indispensabile allo scopo di individuare percorsi alla verità, eliminando
ambiguità ed incertezze. Non ci può essere quindi per Rosmini che una storia
generale della filosofia. Monografie su autori o su singoli concetti o tematiche
non realizzano per il Roveretano lo scopo della storiografia. Sotto questo
profilo essa non può disgiungersi dalla filosofia teoretica, in quanto solo lo
stimolo a ricercare la verità in sé nei sistemi del passato rende utile e
significativa la fatica del presentare le dottrine filosofiche. In altro
contesto, pedagogico, Rosmini afferma: “Senza la filosofia la storia è cieca e
fassi un noiosissimo andirivieni dello spirito umano, una successione di
opinioni tutte di egual peso, o piuttosto di egual leggerezza, senza che si
distingua giammai l'una sentenza alle altre preferirsi con ragione. Senza la
storia, la filosofia diventa così secca, così gratuita, così lontana dalle forze
dell'ingegno, che non può ch'esser ricevuta sterilmente dalla memoria, e giacere
in essa come un penoso ingombro, ovvero un semenziaio di dubbi e di inquietudini
interminabili a quello spirito che cerchi di fecondare da se medesimo quelle
verità, alle quali gli uomini non sono mai giunti se non trapassando per le
verità intermedie, e spesso per tutto lo smisurato campo degli errori e dei
sogni. La storia dunqure si può dire il veicolo della filosofia; la filosofia
all'incontro può dirsi la luce della storia”
[60].
Rosmini ha le idee chiare fin
dagli anni in cui prepara il Nuovo saggio.
Leggendo nel 1829 la prefazione cousiniana alla traduzione francese del
Grundriss der Geschichte der Philosophie
di Tennemann, si rende conto che occorre evitare la considerazione che ogni
apporto filosofico-sistematico sia fornito d'una propria intrinseca validità.
Cousin sosteneva che i diversi sistemi apparsi nella storia della filosofia
fossero già contenuti nella stessa essenza della filosofia, come naturali
tendenze del pensiero, e che quindi fosse opera dannosa e falsa privilegiare un
sistema sopra altri
[61]. Per Rosmini
l'utilità della storia della filosofia per la filosofia non significa che la
prima scopra in ogni sistema una parte “immortale” di verità da considerare come
l'apporto essenziale all'edificio della verità. Infatti ogni sistema non può
essere considerato semplicemente come composto d'una parte vera e di molte parti
imperfette e caduche. Il lavoro dello storico di estrarre la porzione di verità
da ogni sistema rischia di condannare all’inutilità i sistemi stessi, perché, al
di fuori della sola porzione di verità, non rimarrebbe in essi alcunché di
valido[62].
Per Rosmini il pensiero deve
giudicare la validità dei diversi sistemi in ordine alla conformità alla verità,
e rigettare i sistemi falsi, in quanto basati su principi intrinsecamente falsi.
La libertà dello spirito discende dall’essere nella verità e dal poter
individuare l'errore, evitandolo. Rosmini scrive: “Per noi un sistema non è né
un nome, né dei brandelli staccati a caso da diversi corpi di dottrina; ma è un
principio elevato con tutte le sue conseguenze”. La storiografia
filosofica deve pertanto intendere la compresenza della “tradizione dell'errore
a fianco di quella della verità”. Le due tradizioni progrediscono reciprocamente
attaccandosi a vicenda. Ma si tratta d'un progresso di “forma dialettica”, nel
senso che ogni dottrina, nel prosieguo del tempo e nel perfezionarsi della
mente, viene dialetticamente accresciuta di argomenti e di forme. Gli esempi
tratti dalla storia potrebbero essere moltissimi: il più chiaro è, per Rosmini,
che ne accenna in varie sue opere, fino a farlo divenire un
leitmotiv, quello che vede
riproporsi il sensismo dei primi filosofi presocratici nell'epicureismo e poi
nel pensiero del Rinascimento, infino alla formulazione tecnicamente e
psicologicamente suadente del pensiero del Settecento
[63].
Per Rosmini il contrasto dei sistemi, pur
rilevante per l'accrescimento dialettico delle ragioni di chi specula nella
verità, non costituisce di per sé elemento di progresso e di valore. La
concezione dialettica hegeliana della storia della filosofia non sarà a lui mai
chiara: tuttavia egli coglie a fondo, per confutarla, la posizione di chi
ritiene (come Cousin) essere elemento di avanzamento il contrasto e la lotta dei
sistemi, pur senza che tra di essi si instaurino rapporti di contrapposizione e
poi di superamento entro una concezione nuova di sviluppo.
Alle concezioni di Rosmini si rifecero, con
risultati non sempre brillanti, diversi studiosi italiani che contribuirono
all’accrescimento della cultura storico-filosofica. Il più noto tra coloro che
assimilarono la posizione rosminiana fu
Cesare Cantù.
A lui dobbiamo un costante interesse per la storia filosofica attraverso i vari
volumi della sua Storia universale
.
[64]
Inoltre ricordiamo la vasta, anche se non eccelsa, produzione di
Pietro De
Nardi, seguace
tardo ottocentesco, impegnato in astiose polemiche in difesa della concezione
storiografica che al Roveretano risaliva
[65].
Un certo interesse per la concezione rosminiana
della storia della filosofia dimostrarono alcuni seguaci della teoresi del
Roveretano, come
Pier Antonio
Corte, autore di un
manuale di filosofia (con annessa una breve storia della filosofia) interamente
ispirato al sistema di Rosmini
[66],
e
Giuseppe Buroni, seguace dopo la morte
del Roveretano, accanito difensore dell’ortodossia del filosofo di Rovereto,
anche attraverso studi storici
[67]. Si
mosse in un ambito di riflessione teologica , raffrontata con la storia della
filosofia, un esponente di spicco della teologia italiana, il gesuita
Giovanni Perrone, estimatore di Rosmini, ma invece duro avversario di
Gioberti.
[68]
7. L’interpretazione spaventiana della
“circolazione del pensiero italiano”
Dal punto di vista strettamente
storiografico non furono conseguiti in Italia nell’età della Restaurazione
risultati di rilievo nell’indagine, essendo stata la storiografia praticata
soprattutto nella rielaborazione di dati riscontrati e trovati da altri. Perché
avvengano significativi cambiamenti occorre attendere gli storici italiani che,
nella seconda metà dell’Ottocento, si occupano del Rinascimento, visto come
l’età in cui lo spirito italiano aveva espresso il meglio di sé nella
speculazione e nei costumi. Al Rinascimento (chiamato allora “Risorgimento”)
dedicano studi rilevanti Pasquale Villari
(su Savonarola e Machiavelli)
[69]
e Alessandro D’Ancona (su Campanella)
[70].
Si cimenta pure in studi su Bruno e su Campanella l’abruzzese Bertrando
Spaventa, esule a Torino negli anni Cinquanta
[71].
Con Bertrando Spaventa e con Augusto Vera abbiamo anche il diffondersi della
scuola hegeliana, nelle sue due anime, quella detta “critica”
[72] e quella “ortodossa”
[73].
L’idealismo costituisce
l’ispiratore più rilevante delle teorie e delle metodologie sulla storia della
filosofia che si diffondono in Italia subito dopo l’unità politica. Si apre così
un nuovo periodo per la storia della storiografia filosofica, che va dal 1860
alla fine del secolo. Bertrando Spaventa indica nella sua teoria della
“circolazione del pensiero italiano” un modo d’essere della filosofia italiana
nei confronti della filosofia europea e suggerisce un metodo per intendere
manifestazioni di pensiero che, di per sé, possono sembrare piuttosto legate
alla sola contingenza storica italiana. Nelle lezioni del 1861, pubblicate con
il semplice titolo di Prolusione e introduzione
alle lezioni di filosofia nell’Università di Napoli, 23 novembre-23 dicembre
1861
[74],
Spaventa contesta la rivendicazione dell’antichissima origine delle filosofie
insegnate in Italia fino al Rinascimento, che proveniva tanto da chi professava
l’eclettismo, come Poli, quanto da chi vedeva le origini entro una prospettiva
sperimentalistica, come Mariani, e quanto anche da chi, come Gioberti, intendeva
trovarsi agli inizi di una visione ontologica, la manifestazione dell’Idea
creatrice.
Il pensatore abruzzese indica nella filosofia del
Rinascimento un’originalità di sviluppo nei temi dell’immanenza, della
soggettività, della creatività spirituale, che in assoluto costituiscono l’avvio
della modernità.
Le tesi di Spaventa sono sviluppate tanto nella prolusione
intitolata Della nazionalità della filosofia,
quanto nelle dieci lezioni introduttive, tenute sulla cattedra di Filosofia
teoretica di Napoli, che hanno un loro specifico titolo:
Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo
XVI sino al nostro tempo. In questa seconda parte
Spaventa afferma che, non essendosi sviluppata in Italia questa filosofia
dell’immanenza nelle sue massime esplicitazioni, anzi, essendo stata soffocata
dagli eventi della Controriforma, si assiste ad una “trasmigrazione” degli
elementi più validi della speculazione italiana negli ambienti europei più
attivi. In tal modo Cartesio e Spinoza certamente sono debitori al Rinascimento
italiano (ed in particolare a Bruno ed a Campanella) di parecchi elementi delle
loro filosofie. Il fatto che Vico dapprima e Kant poi siano in fondo coloro che
riprendono il ciclo delle discussioni sul soggettivismo e sulla scienza fisica
della natura, formulando la “scienza nuova” della storia da un lato ed il
criticismo dall’altro, al fine di rendere accettabili la visione dell’uomo
autore del proprio mondo storico e la visione scientifica del mondo
galileiano-newtoniana, sta a significare che con questi due filosofi le istanze
poste in modo così impacciato e confuso nel Rinascimento italiano vengono a
chiarezza.
Spaventa non esita a riconoscere in Hegel l’erede
di Giordano Bruno e di Giovambattista Vico. Ma, ancor più, non esita a
considerare il pensiero italiano immediatamente precedente a lui, rappresentato
soprattutto da Galluppi, Rosmini e Gioberti, come investito da un inconsapevole
desiderio di pensare il mondo e l’uomo secondo le categorie del pensiero
trascendentale. Sfruttando alcuni innegabili elementi delle filosofie dei
maggiori pensatori italiani del primo Ottocento, Spaventa ritiene che essi
abbiano pensato come Kant ed Hegel, pur intendendo opporsi ad essi. Non si
tratta in questo caso di un precorrimento di dottrine poi chiaramente e
conseguentemente sviluppate: si tratta di comprendere consonanze naturali con il
pensiero tedesco che il pensiero italiano, per la sua tradizione successiva al
Rinascimento, è tratto a formulare.
La teoria spaventiana sulla circolazione del
pensiero italiano in Europa non aveva alcun fondamento storico. L’operetta in
cui essa è formulata, che poi Gentile ripubblicherà con grande rilievo nel 1908
[75],
non è di per sé un’opera di storia generale della filosofia, ma si qualifica
come la dichiarazione di una possibile interpretazione della filosofia moderna.
Eppure le lezioni napoletane servirono a presentare la filosofia italiana in una
luce di progressività e di innovazione spirituale e culturale, con l’indicazione
di un percorso storico. L’hegelismo di Spaventa ritenne di riscontrare in
Galluppi un incipiente kantismo, seppure limitato da una certa ingenuità
riguardo alla dottrina dell’io; e di individuare nella filosofia di Rosmini un
kantismo genuino, anche se non riconosciuto (ed anzi rinnegato) dall’autore, in
quanto la dottrina dell’intuito dell’essere ideale si poneva come netta
affermazione di un apriorismo spirituale in grado di fornire il criterio della
vera conoscenza. Infine Spaventa credette di indicare nella filosofia
giobertiana della “Formola ideale” il conseguimento di un pensiero della
creatività dell’Idea che avvicinava il pensatore piemontese ad Hegel, facendo
del suo sistema un contributo all’immanentismo assoluto.
Di fronte ad una supposta presenza così
significativa della filosofia dello Spirito assoluto nel nostro paese, Spaventa
riteneva di poter considerare la sua “riforma” dell’hegelismo una mossa
azzeccata, che non travisava la filosofia di Hegel, ma che anzi riconosceva gli
elementi più fecondi della sistematica del pensatore di Stoccarda. Kant ed Hegel
venivano considerati in una continuità necessaria, in quanto lo spirito del
criticismo diveniva la filosofia del Soggetto assoluto. Tale posizione non
incontrò l’approvazione, del filosofo italiano che si era proclamato come il
commentatore dello spirito genuino della filosofia di Hegel, appunto di
Augusto Vera.
Questi, presentando nel 1855 il suo programma di traduzione in lingua francese
dell’Enciclopedia
hegeliana, aveva isolato la posizione di Hegel: nessun elemento del pensiero
italiano aveva avuto influsso sulla formazione del suo pensiero, né poteva
ritenersi in grado di sviluppare alcunché di esso
[76].
In un volume di valutazione complessiva della filosofia italiana dell’Ottocento,
La philosophie contemporaine en Italie,
l’allievo più fedele di Vera, cioè
Raffaele
Mariano, aveva criticato la tesi
spaventiana della nazionalità della filosofia, negando che l’Italia avesse
precorso il pensiero moderno, ed anzi ponendo come elemento di pesante
arretratezza la filosofia di Rosmini, attardata sul pensiero medievale. Lo
stesso ontologismo giobertiano era ritenuto come un modo inadeguato di pensare
la dinamica del pensiero. Gli hegeliani che poi la storiografia ha qualificato
per “ortodossi”, in realtà erano vicini alle posizioni della scuola tedesca
hegeliana di “centro”, capeggiata da Karl Rosenkranz. La totale identificazione
di filosofia e di storia della filosofia, propugnata da Hegel nella filosofia
dello Spirito assoluto, era, a dire di Mariano, meglio intesa da Vera, in quanto
alla fine questi riteneva, nella più assoluta fedeltà ai testi ad allo spirito
del pensatore di Stoccarda, che il sistema nella sua complessità rendesse il
passaggio dell’Idea, come elemento logico-dinamico, allo Spirito, utilizzando
proprio quanto dalla Natura derivava, cioè la concretezza della realtà fisica,
che poi veniva trasfigurata spiritualmente dalle filosofie. Nella storia della
filosofia nessuna posizione fondamentale era stata rappresentata dal pensiero
italiano in quanto tale. Una storia generale della filosofia concepita secondo
le tesi di Spaventa era un’aberrazione dal punto di vista hegeliano “ortodosso”
[77]. Una
critica tanto radicale non fu molto condivisa in Italia. Un certo consenso nei
confronti di tali posizioni fu manifestato da uno studioso che insegnò a Torino
e fu avverso ad ogni compromesso tra hegelismo e spiritualismo: Pasquale
D’Ercole
[78]
Bertrando Spaventa riteneva che l’elemento di grande
innovazione per la filosofia italiana fosse la “scoperta” dello Spirito, e
quindi valorizzava più la Fenomenologia dello
Spirito che la Logica,
negando alla prima opera di Hegel la caratteristica di un “avviamento” al
sistema. Per Spaventa, a differenza di Vera, non era il sistema il momento
fondamentale della filosofia hegeliana, bensì il Soggetto, identificato con la
filosofia dell’Idea, e poi esplicitatosi nello Spirito assoluto. Di qui il suo
ritenere che anche in Italia si fosse compreso il senso più autentico della
Soggettività trascendentale, soprattutto con il
Nuovo Saggio di Rosmini e con la stessa
Introduzione allo studio della filosofia
di Gioberti. La storiografia filosofica di conseguenza andava riscritta per
indicare il passaggio rilevante del pensiero nel nostro paese, dal kantismo
inteso in un senso limitato da Galluppi, al vero kantismo, identificato quindi
con la Soggettività, così come lo aveva inteso Rosmini.
Dopo questa indicazione, espressa nel 1861, però,
Spaventa non produsse molto in ambito storico-filosofico. Lo sforzo di
illustrare la “novità” della filosofia di Gioberti si arrestò al primo volume
[79].
Egli non amava le ricerche storiche in senso filologico. Gli erano bastate
alcune geniali ricerche svolte sul pensiero di Bruno e Campanella nel periodo
dell’esilio torinese. Ma la scuola che egli radunò produsse invece storici della
filosofia piuttosto agguerriti. Il presupposto fondamentale era quello che della
creatività dello Spirito si potesse trattare anche nella dimensione storica,
sotto il profilo delle dottrine che ne avevano precorso la teorizzazione, e
sotto il profilo dell’organismo adatto a fare storia, cioè una delle capacità
fondamentali dello Spirito di ricreare se stesso, riandando alla propria storia
passata
[80].
Che le tesi di Bertrando Spaventa potessero essere
applicabili in concreto alla storia del pensiero italiano, fu quanto un suo
discepolo indiretto, a suo modo poi rimastogli fedele, il calabrese
Francesco
Fiorentino, si incaricò di
verificare. A lui dobbiamo alcuni lavori originali, che, se alla fin fine
propendono per l’interpretazione di stampo idealistico, tuttavia raggiungono il
loro scopo di presentare, praticamente per la prima volta, con esattezza
storica, dottrine importanti del Rinascimento. Il primo lavoro, del 1868, è
dedicato a Pietro Pomponazzi
[81];
il secondo, del 1872, è dedicato a Bernardino Telesio
[82]; il terzo, pubblicato
postumo, riguarda il Risorgimento filosofico nel Quattrocento
[83]. Fiorentino coniuga una
soddisfacente vena storico-critica con una robusta capacità interpretativa,
tendente al kantismo, non sempre inteso come Spaventa. I filosofi della
Rinascenza, dagli umanisti a Telesio, sono intesi come precorritori della
filosofia dell’immanenza e del naturalismo.
Fiorentino cercherà, in seguito, nonostante le sue
affermazioni di fedeltà alla scuola di Bertando Spaventa, di intendere i dati
della sensibilità e dell’esperienza come un elemento prezioso per spiegare la
dinamica dell’immanenza. Si avvicinò al positivismo, che si stava affermando
anche in Italia, ed intese come fondamentale una rilettura di Kant alla luce
delle teorie dell’evoluzione, che dilagavano in Europa, dopo lo scritto di
Darwin sull’origine delle specie animali. Rimanendo incerto tra filosofia della
soggettività e filosofia della positività, egli pensò di formulare una teoria di
conciliazione, per la quale l’unica realtà, che dinamicamente diviene e che
costituisce mondo e spirito insieme, può avere allo stesso tempo una “faccia”
ideale e spirituale, ed una ”faccia” materiale e sensibile. In questo contesto
Fiorentino pensò anche di formulare una teoria della storiografia filosofica
secondo cui la ricostruzione logica e sistematica della filosofia attraversa la
sua storia, e non interferisce con la ricostruzione per approcci storico-critici
alle manifestazioni “esterne”, materiali, della vita della speculazione. La
storia interna, delle forme logiche della filosofia che si concatenano, si
svolge parallelamente alla storia esterna, secondo cui i vari filosofi e le
varie dottrine sono concretamente calate in situazioni ricostruibili con la
scienza filologica
[84].
La scuola hegeliana raccoltasi intorno a Spaventa,
ebbe un significato notevole nella cultura italiana dopo l’unità. Si spense
abbastanza presto, perché molti suoi seguaci preferirono lasciare l’idealismo e
passare al neo-kantismo o al positivismo stesso. Rimasero fedeli a Spaventa solo
Angelo Camillo De Meis,
Sebastiano
Maturi
[85]
e
Donato Jaja,
quest’ultimo acuto interprete di Rosmini (che ritenne molto vicino alle
posizioni kantiane ed hegeliane anche nella sua opera postuma, la
Teosofia rosminiana) e
convinto assertore che la filosofia dell’hegelismo critico italiano fosse
destinata ad avere una sua storia
[86].
Non vide male, perché fu lui a laureare Giovanni Gentile, ed a vedere anche la
ripresa dell’hegelismo, grazie all’infaticabile lavoro di questo suo geniale
scolaro. Si staccarono da Spaventa Filippo Masci, che divenne
neo-kantiano
[87],
e Pietro Ragnisco, che divenne positivista
[88].
Un amico di Spaventa della primissima ora, a Napoli, prima del fatidico 1848,
Pasquale Villari, divenne invece positivista sui
generis, e pubblicò nel 1865 il “manifesto” del
positivismo nelle scienze umane, La filosofia
positiva e il metodo storico
[89].
Il positivismo non espresse in Italia grandi opere
storiografiche riguardo alla filosofia, essendo stato piuttosto suo compito
quello di rivendicare il primato del fatto sull’idea, e quindi di mantenere la
filosofia al livello della giustificazione del metodo sperimentale e della
psicologia come punto di concentrazione della “formazione naturale” (è il caso
tipico della posizione di
Roberto
Ardigò)
[90]. Non venne prodotta nessuna
opera generale. Si distinsero comunque come storici di valore uomini che
studiarono il Rinascimento e l’età moderna in Italia come periodi in cui la
scienza sperimentale si era manifestata, sconfiggendo la filosofia come
metafisica e dogmatica. Tra di essi ricordiamo
Luigi
Amabile
[91],
Antonio Favaro
[92],
Pietro Siciliani
[93].
Per l’interesse dimostrato nei confronti del problema della storia della
filosofia possiamo citare anche
Andrea
Angiulli
[94],
Francesco Saverio De Dominicis
[95],
Gaetano Trezza
[96],
Giovanni Cesca
[97],
Sante Ferrari
[98],
Giovanni Dandolo
[99],
Alessandro Paoli
[100].
Il loro contributo agli studi storico-filosofici non fu sempre alto, anche se
ciascuno di loro si distinse per certi interessi e per determinate
interpretazioni: si ricordino gli studi religiosi di Trezza, gli interessi
legati all’aristotelismo padovano di Ferrari, gli studi sulle concezioni intorno
al tema della memoria, di Dandolo.
8. Esempi di una storiografia filosofica
alternativa all’hegelismo: Bertini, Conti, Berti, Ferri
Hegelismo, positivismo e neo-kantismo sono le
correnti di storici della filosofia che occupano la nostra attenzione nel
panorama italiano delle storie della filosofia, nella seconda metà del secolo
XIX. Ma si sarebbe lontani dal vero se si ritenesse che solo queste correnti si
siano mosse nell’ambito culturale italiano. Seppure minoritari (ma non certo
inascoltati) si proposero orientamenti che difendevano le buone ragioni dei
grandi pensatori della prima metà del secolo, e che addirittura ritenevano di
poterne sviluppare significativamente le dottrine ed i metodi. Non si dimentichi
che storici come Giovanni Maria Bertini, Augusto Conti, Luigi Ferri e Domenico
Berti hanno parte notevole nell’incremento di studi storici ancorati alla
rivendicazione della bontà delle interpretazioni storiche dei pensatori
spiritualisti ed ontologisti. Essi, a loro modo, si propongono di sottrarre
Rosmini e Gioberti dalla valutazione degli hegeliani, intendendo invece la
storia della filosofia come uno sviluppo delle grandi idee metafisiche da loro
enunciate, riguardo all’intuito dell’Essere ideale e alla Formola ideale.
Giovanni
Maria Bertini
scrive un’ampia trattazione su La filosofia greca
prima di Socrate, come parte II del suo lavoro
Idea per una filosofia della vita,
poi pubblicata a sé stante nel 1869
[101].
Il suo teismo speculativo si distacca dalle filosofie religiose di Rosmini e di
Gioberti, ricercando nel pensiero antico, e nel platonismo in particolare, le
tracce di una filosofia aperta all’assoluto, legata ad un’ontologia dell’Idea,
senza però implicazioni cristiane. L’insieme dei suoi scritti si può considerare
una seria ed originale trattazione storica generale sul pensiero antico
[102].
Il tentativo di scrivere poi una storia della filosofia moderna, a partire da
Cartesio, rimase inattuato, e solo dopo la morte il figlio pubblicherà la prima
parte, incompleta, di questa storia, da cui si evince un progetto ambizioso di
storia generale
[103].
Augusto Conti
scrive una
Storia della filosofia, in
due ampi volumi
[104],
e propugna una visione della storia del pensiero che è dominata dallo sviluppo
di grandi idee-forme-valori, in cui l’umanità in fondo si riconosce
[105]. Il suo concetto di
“filosofia perenne” intende indicare in alcune concezioni connaturate nella
mente e nelle tensioni dell’umanità un patrimonio storico da ricostruire con la
ricerca. Di ben altro spessore speculativo è invece il concetto di perennità del
filosofare che viene divulgato dai filosofi neotomisti che si affermano in
Italia, specialmente nelle scuole ecclesiastiche.
L’idea
di un ritorno a S. Tommaso, concepito come il pensatore che si trova al culmine
dello sviluppo della ricerca filosofica orientata alla fede cristiana, non viene
sempre interpretata nel senso di una continuità e di una fecondità del tomismo,
le cui sorti potrebbero anche essere discusse e valutate dagli studiosi
cattolici. L’antistoricismo è la conseguenza della tesi che il ritorno all’Aquinate
deve essere orientato alle sue dottrine originarie e che dopo di lui ben poco di
nuovo ha prodotto il pensiero umano. Su questa posizione troviamo studiosi come
Matteo Liberatore, Giovanni Maria Cornoldi e Tommaso Maria Zigliara. Altri
pensatori, che però hanno compiuto studi di valore storico, sembrano orientarsi
ad uno studio storico-critico della Scolastica, senza però intendere la
filosofia perenne come un perenne inno al tomismo. Per i loro interessi storici
ricordiamo Gaetano Sanseverino
[106],
ed il suo allievo Salvatore Talamo, autore di un rilevante studio
sull’aristotelismo nella Scolastica
[107].
Luigi Ferri,
che proviene dalla scuola di Terenzio Mamiani della Rovere, concepisce, grazie
alla mediazione tra Rosmini, Gioberti e lo stesso Mamiani, un idealismo
dinamistico, in grado di rendere anche gli studi sulla psicologia, avviati
soprattutto dal positivismo, una riprova della concezione delle idee come
elementi dinamici ed assoluti di riferimento. Ferri, nel suo
Essai sur l’histoire de la philosophie en Italie au
dix-neuvième siècle
[108],
pensa di collegarsi così a pensatori come Hermann Lotze, proponendo un filone
storico-filosofico, che dalle antichissime origini del pensiero, la scuola
Pitagorica, fa riferimento ad un mondo di valori e di idee supreme che
costituisce il riferimento e la guida per la conoscenza e la morale
[109].
Domenico Berti,
pur sentendosi debitore nei confronti di molte posizioni del pensiero rosminiano
e giobertiano, non condivide la loro teoresi ontologica fino in fondo, e ritiene
che la storia della filosofia debba compiersi con l’analisi dei documenti
[110].
La sua convinzione lo portò ad approfondimenti di natura filologica tanto seri
ed accurati da essere in un certo senso i risultati di essi accettabili dalle
scuole contrapposte che abbiamo prima elencato. Nei momenti in cui fu libero
dall’impegno politico (fu anche ministro della Pubblica Istruzione) Berti
approfondì con rilevanti studi sia la personalità di Gioberti (della quale
traccia una ricostruzione)
[111],
che i momenti cruciali del pensiero italiano del Rinascimento, con particolare
attenzione alle figure-chiave: Bruno, Campanella, Galilei. I suoi studi di
“prima mano” sui processi di Bruno, di Campanella, e di Galilei, sulla
repressione controriformistica delle idee dei nostri grandi filosofi, e sulla
fortuna del copernicanesimo, costituirono il punto di partenza,
indifferentemente tanto per gli studiosi di impostazione hegeliana quanto per i
positivisti
[112].
L’interesse di Berti fu comunque incentrato sulla ricostruzione della grandezza
del pensiero italiano, visto però al di fuori da interpretazioni aprioristiche
di suoi presunti primati.
Le rivalutazioni parziali
della “tradizione italica”, soprattutto operate da Conti e da Ferri, e da un
fecondo ma modesto esponente del giobertismo, il siciliano Vincenzo Di
Giovanni
[113],
rimettono in corsa perfino Terenzio Mamiani, la cui inconsistenza storiografica
e teoretica era stata sottolineata per la prima volta dalla poderosa
confutazione rosminiana. Se Mamiani aveva sostenuto nell’opera del 1834 che nel
Rinascimento italiano erano rinate parecchie delle posizioni delle filosofie
antichissime, ed in particolare un punto di vista prezioso per il progresso del
nostro paese, l’idea di un’esperienza investigante, ora, dopo il 1850, ma
soprattutto dopo la creazione dello Stato unitario italiano, mutò prospettiva.
Il filosofo pesarese iniziò a sostenere che l’esperienza non è il solo elemento
cui la filosofia italiana abbia fatto riferimento. L’apporto di Mamiani ad una
crescita civile italiana, soprattutto con il lavoro compiuto dalla sua rivista
“La filosofia della scuole italiane” (fondata nel 1870), si spiega con una
sostanziale conversione al platonismo. Mamiani si “riscattò” negli ultimi anni
della sua vita promuovendo il collegamento delle forze culturali italiane
nell’ipotesi di una tradizione filosofica ampia, incentrata su un idealismo di
mediazione tra l’idea archetipa e la coscienza
[114].
9. La storiografia filosofica “pura” di Felice
Tocco e gli esordi del neokantismo
Complessivamente la
storiografia filosofica tra il 1850 ed il 1900 compì passi considerevoli in
ambito di monografie e saggi di ricerca. Oltre a Francesco Fiorentino si
distingue per una produzione monografica di rilievo il suo allievo
Felice Tocco, calabrese, decisamente schierato sul fronte del neo-kantismo.
Egli scrisse notevoli lavori di storia della filosofia, di storia religiosa e di
storia culturale, dedicati allo sviluppo dei dialoghi platonici
[115], all’eresia
nel medioevo
[116],
al movimento francescano
[117],
a Girolamo Savonarola
[118],
alle opere latine di Giordano Bruno, ed al suo processo
[119], alla
Critica della ragion pura di Kant
[120].
Si può dire che, se non produsse alcun lavoro di storia generale, tuttavia fornì
ampie trattazioni in tutti gli ambiti della storia del pensiero filosofico,
scientifico, etico e religioso. Con lui la storiografia filosofica raggiunse un
livello europeo anche se per poco: nel periodo dell’intensa produzione
all’Istituto di Studi superiori di Firenze, Tocco affrontò lo studio della
storia della filosofia con una mentalità decisamente nuova in Italia,
abbandonando ogni legame intrigante con la teoresi filosofica, e proponendo
criteri molto precisi, anche se semplici, per evitare che il giudizio storico si
trasformasse in una distinzione tra “eletti” e “reprobi”.
Uno di questi criteri è
quello di deporre ogni presupposto, onde riuscire a ricostruire un sistema
filosofico nella sua genesi e nella sua coerenza interna, rispetto ad un
principio-guida che il filosofo ha intuito e si è più o meno consapevolmente
dato. Ogni grande filosofia in fondo, spiega Tocco, intende come suo compito
preciso il porre a guida della propria articolazione sistematica un principio o
un’intuizione complessiva. L’articolazione del sistema può tradurre questa
intuizione o contraddire ad essa: il compito dello storico, che in ciò non opera
alcuna valutazione, consiste nel seguire le effettive movenze del pensatore, nel
comprenderne le scelte, magari non in coerenza con il principio eretto a guida,
e nell’indicare attraverso queste vari ripensamenti, gli
esiti possibili per lo sviluppo della scuola eventualmente
fondata dal pensatore
[121].
La posizione di Tocco, non solo contrastava l’uso
“teoretico” della storiografia che avevano fatto, con accenti diversi, sia
Galluppi che Rosmini, ma non accettava la stessa metodologia spaventiana, che
considerava la storia della filosofia come opera dello Spirito. Tocco stava in
parte con i positivisti, rivendicando l’essenzialità del “fatto”, cioè
dell’accertamento della dottrina del filosofo attraverso il documento, ed in
parte però riteneva che la sensibilità dello storico doveva compiere
un’interpretazione del tempo e dell’ambiente in cui il filosofo aveva operato,
alla fine di comprendere il tipo di scelta da questi compiuta. Molti
interpretarono questo tipo di storiografia come “filologica”, perché non aveva
alcun punto di riferimento in una sistematica filosofica. In realtà essa si
legava al neocriticismo europeo, ed al primato della ragion pratica, entro cui
trovano soluzione morale determinate esigenze dello spirito umano
[122].
Tocco ispira con la sua
chiarezza altri storici della filosofia che si
rivolgono, sia pure a loro modo, alla metodologia kantiana. Ricordiamo che da
una curiosa combinazione tra l’influsso di Conti e quello di Tocco si origina
una storiografia attenta ai rapporti con la cultura e con la vita dello spirito,
quale quella che si esprime con
Giacomo Barzellotti
[123];
e che dalla scuola di Tocco e
da influenze spiritualistiche viene anche fuori una storiografia che pone legami
rilevanti tra la filosofia e la vita religiosa, così come è espresso da
Alessandro Chiappelli
[124].
L’impegno filologico contraddistingue la storiografia del tutto influenzata da
Tocco, di
Giuseppe Zuccante[125].
In un certo senso si può dire che si muova nell’orbita della mentalità di Tocco
anche il molisano Baldassarre Labanca, il quale espresse il meglio della
sua produzione nell’ambito degli studi religiosi (fu infatti al culmine della
sua carriera docente di Storia del Cristianesimo nell’Università di Roma).
[126]
10. La manualistica di storia della filosofia
nella seconda metà dell’Ottocento: Fiorentino e Cantoni
All’opera a carattere
generale di Poli sulla filosofia italiana ed agli schizzi generali dei pochi
altri storici che abbiamo prima indicato - i quali contraddistinguono la
produzione post-Restaurazione - fa riscontro, dopo il 1850, una quasi totale
assenza di storie generali ampie ed articolate. Vengono prodotti solo manuali di
storia generale della filosofia. Tra i pochi validi ricordiamo quelli di
Francesco Fiorentino e di Carlo Cantoni. Il primo si intitola, come s’è già
detto, Manuale di storia della filosofia ad uso dei
Licei[127],
e costituisce il primo contributo alla manualistica liceale di storia della
filosofia che appare in Italia con intenti veramente scientifici. La
Storia della filosofia di
Augusto Conti, che era apparsa qualche anno prima, pure essa con scopi
didattici, nonostante la sua serietà ed il suo impegno educativo, non consegue
il rigore, il vigore e la chiarezza del manuale di Fiorentino. Va detto che nei
programmi liceali italiani degli anni in cui appaiono i manuali in questione non
esiste la storia della filosofia e che quindi essi sono pubblicati come
complemento agli studi del Liceo, forse più per la preparazione degli insegnanti
che degli allievi.
Consegue il suo scopo didattico diretto invece
l’opera di
Carlo
Cantoni,
la quale esce come Storia compendiata della
filosofia, terzo volume del
Corso elementare di filosofia,
opera piuttosto fortunata nelle scuole italiane
[128]. Il manuale si
rivolge proprio agli allievi del Liceo, quelli che tra il 1884 ed il 1890, o giù
di lì, vennero chiamati dai programmi ministeriali italiani a studiare
nell’ultimo anno della loro scuola la storia della filosofia in compendio.
Infatti fu molto strana, ma significativa, la vicenda di programmi ministeriali
che durarono solo quattro anni relativamente alla prescrizione di studiare la
storia della filosofia. Soppresso lo studio storico-filosofico nel 1888 dai
programmi Baccelli, esso ritornò solamente con la riforma del Liceo e di tutta
la scuola italiana, attuata mentre era ministro della Pubblica Istruzione
Giovanni Gentile (1923).
Carlo Cantoni, docente nell’Ateneo pavese, noto per
un suo lavoro profondo e di ampio respiro su Kant
[129] ma
anche per monografie e saggi di notevole interesse storico, come quella su Vico
[130], riesce
felicemente ad esporre in un solo volume l’intero sviluppo della filosofia,
intesa come tensione ad unificare ed a dare senso al progredire delle scienze e
dei saperi
[131]. Per Cantoni i
sistemi di filosofia nascono da questa esigenza e si strutturano secondo le
diverse condizioni dei popoli, secondo le condizioni individuali dei filosofi
che li pensano e li difendono, e, infine, secondo “il processo logico e lo
svolgimento delle idee filosofiche”
[132].
Due quindi sono le possibili genesi dei sistemi per Cantoni: quella psicologica
e quella logica. La prima comprende anche la genesi storica, la seconda si
spiega in quanto i diversi sistemi rispondono ad uno sviluppo interno di
problemi filosofici. Cantoni non indica quale sia prevalente nel giudizio sullo
sviluppo complessivo: tuttavia lascia comprendere che le due genesi possono
anche essere studiate parallelamente. La posizione di Cantoni si accosta a
quella di Tocco, che propugna una storiografia oggettiva e “pura”. Tuttavia
l’esponente del neo-kantismo che insegna a Pavia ritiene di assegnare allo
storico della filosofia un compito più ampio, soprattutto per la formazione
degli allievi dei Licei: indicare un divenire delle soluzioni filosofiche in cui
i diversi sistemi non siano giudicati solo per la loro coerenza, ma per il
supporto offerto al progredire del sapere scientifico. Su queste posizioni si
“allineano” anche
Luigi
Credaro
[133]
e Adolfo Faggi
[134].
11. La storiografia filosofica italiana
nell’Ottocento: una questione di egemonia culturale?
Nei due più usati manuali di storia della filosofia non si notano preferenze per
ritmi storici dello sviluppo dei sistemi, legati ad apriorismi troppo marcati.
Fiorentino stesso, che si atteggia ad allievo di Spaventa, non accentua la tesi
della circolazione del pensiero italiano. Probabilmente, nel 1879, egli era
desideroso di non esasperare il contrasto con altri pensatori italiani a
proposito della concezione spaventiana che aveva “annesso” allo sviluppo di
marca hegeliana anche pensatori come Galluppi, Rosmini e Gioberti. Era reduce da
una forte polemica, la quale aveva in un certo senso difeso l’importanza che
veniva data dalla scuola di Bertrando Spaventa alla storiografia filosofica: si
trattava di una questione di egemonia culturale.
Appare chiaro dalla delineazione della natura e
della metodologia delle opere di storia della filosofia apparse dopo l’unità
italiana che attraverso lo studio storico si pensava di esercitare da parte di
alcuni pensatori una sorta di egemonia culturale, in grado di indirizzare anche
scelte di natura politica più ampia. La scuola di Spaventa aveva mirato a
raggiungere questo scopo, e sembrava quasi esserci riuscita. Un esempio viene
proprio dalla polemica che contrappose hegeliani e spiritualisti, nella persona
di Fiorentino da una parte e di Francesco Acri da un’altra.
La difesa di un criterio
storiografico estraneo ai ritmi della necessità di natura hegeliana
era stata svolta da esponenti della cultura
spiritualistica, soprattutto da Conti e da Bertini. Un’appassionata difesa di
una storiografia incentrata sull’individualità e sulla personalità dei filosofi,
viene compiuta da
Francesco Acri
[135], il
quale polemizza con le opinioni espresse da Fiorentino nel 1874, in un quadro
sintetico della filosofia italiana pubblicato in Germania
[136]. Questa difesa fu
la miccia che fece scoppiare una polemica durata alcuni anni, in cui intervenne
anche Bertrando Spaventa, nonostante l’evidente declino delle sue posizioni.
Acri aveva provocato questa polemica suo malgrado,
pensando ingenuamente di poter difendere i diritti della verità nei confronti
della disinvolta metodologia di Fiorentino, il quale aveva per così dire
“arruolato” nella milizia del pensiero immanente i grandi filosofi di matrice
spiritualistica. Fiorentino non aveva fatto nulla di più di quanto aveva fatto
Spaventa, nelle sue lezioni del 1861. Però, divulgando queste interpretazioni su
una rivista di cose italiane, diffusa in Germania, aveva dato ad intendere che
la tendenza, appunto “egemone” era l’immanentismo proveniente da una felice
interpretazione “critica” del pensiero hegeliano. Acri, insorgendo contro questa
operazione, che riteneva (con fondamento) arbitraria, non si era reso conto di
suscitare una reazione contraria, di coloro che ritenevano invece lecita
l’operazione riguardante i pensatori spiritualisti, in quanto non sembrava
sensato considerare grandi pensatori Rosmini e Gioberti e farli ancora figurare
come filosofi legati al pensiero cristiano della trascendenza ed a posizioni
ontologiche e non idealistiche
[137].
Per Acri non era lecito interpretare
determinate dottrine come se appartenessero ad una logica diversa da quella
della personale elaborazione di spunti filosofici secondo scelte che si collegavano a
tradizioni del tutto diverse. In altre parole non si poteva interpretare la
filosofia di Galluppi, Rosmini e Gioberti come preparatrice dell’idealismo,
mentre invece tutti i loro seguaci venivano indicati come attardati su posizioni
spiritualistiche obsolete e conservatrici anche dal punto di vista politico. Si
noti che la valutazione di Fiorentino colpiva esponenti del pensiero
cattolico-liberale, in polemica con la parte più retriva del pensiero cattolico,
cioè con il neotomismo. Quindi in un certo senso il pensatore calabrese
assimilava pensatori come Conti, Bonatelli, Fornari, Bertini, e Berti stesso,
esponenti di un movimento di retroguardia che in quel periodo era fortemente
combattuto da molti filosofi cattolici, nelle polemiche conseguenti alla
“questione rosminiana”
[138].
La polemica si concluse con la sconfitta di Acri,
creando in lui una specie di dolorosa incredulità. Infatti gli hegeliani, con
Fiorentino in testa, lo avevano accusato di disonestà, considerandolo un retrivo
difensore di filosofie dogmatiche
[139].
Acri era uscito piuttosto malconcio, a dimostrazione che l’egemonia culturale
che la scuola di Spaventa voleva costruire incominciava a dare i suoi frutti.
Scarse furono le posizioni assunte in difesa dell’interpretazione di Acri. La
maggior parte delle voci autorevoli che si levarono condannarono Acri nel nome
di una causa sbagliata, assunta forse per interessi di carriera, nel nome di un
mondo che stava per dileguarsi, il mondo del pensiero dogmatico-cattolico.
In realtà Acri soccombette solo perché scarsamente
difeso e poco attrezzato a polemiche giornalistiche: la sua difesa di un
adeguato spazio da dare ai filosofi italiani spiritualisti è largamente
condivisibile, perché la posizioni spaventiane avevano uno scopo strumentale,
per fornire patenti di attendibilità all’introduzione dell’hegelismo nell’ambito
della cultura italiana
[140].
L’operazione di egemonizzazione della cultura durò solo un tempo piuttosto
limitato, e ad essa Acri poté sopravvivere, diventando poi acerrimo avversario
del positivismo, che pochi anni dopo divenne l’avversario da battere (ma almeno
il positivismo non aspirava a dare patenti di nobiltà positivistica ai pensatori
cristiani, al cui pensiero Acri si era nutrito).
Terminò così, intorno agli anni Novanta, con
un’effimera battaglia per l’egemonia culturale, il periodo fecondo della
storiografia filosofica. Esso si era svolto nell’incontro di tendenze diverse,
che fino ad un certo punto mirarono tutte a dare all’Italia post-risorgimentale
un punto di riferimento culturale nella metodologia storica. Sembrò ad un certo
punto che l’ontologia spiritualistica potesse volgere ad un pensiero
idealistico, i cui sviluppi poi non potessero far altro che tramutarsi in una
visione immanente. Sembrò anche che la storiografia filosofica, esercitata con
serietà e con acume filologico fosse in un certo senso di esempio alla cultura
ed alla politica, cioè un’esortazione alla serietà ed all’ammodernamento dei
costumi civili. Se la storiografia del primo Ottocento aveva già compreso il
rilievo che lo studio storico poteva avere nello stabilimento di un’identità
culturale italiana, la storiografia del secondo Ottocento colse fortemente il
nesso tra l’approfondimento della storia della filosofia e la necessità di un
costume rinnovato, fatto di serietà di vita, di razionalità di intenti, e di
dignità civile. L’individuazione nel lavoro storico, ed in quello storico-filosofico in particolare, della tendenza che più avrebbe potuto rappresentare un’innovazione culturale significativa, produsse un momentaneo slancio volto a dare appunto all’egemonizzazione culturale uno sbocco preciso: l’hegelismo critico poteva essere la nuova prospettiva, capace di innovare la politica e la vita italiana. La tendenza egemonica della scuola hegeliana si scontrò però con l’eredità del primo Ottocento, con i seguaci di Rosmini e di Gioberti, restii a farsi fagocitare e ad assistere quali spettatori della loro metamorfosi. La vittoria riportata contro Acri non bastò, e le aspirazioni egemoniche passarono. Passò anche la prassi della storiografia filosofica intesa come simbiosi tra filologia e pensiero civile. I neokantiani si ritirarono in un riformismo quasi asettico, e i positivisti non colsero l’importanza della storiografia filosofica. Gli spiritualisti persero le loro energie, nel mentre in campo cattolico montavano le tendenze neotomistiche, sostanzialmente antistoriche, negatrici della novità apportata da Rosmini e da Gioberti.
Si ebbe un momento di stasi, che doveva essere interrotto
ai primi del Novecento dalle posizioni espresse da Benedetto Croce e da Giovanni
Gentile. A loro spettò di aprire un nuovo e più fortunato capitolo della ricerca
dell’egemonia culturale. Le condizioni furono favorevoli ad un trionfo
dell’idealismo, che fece tornare in auge alcune delle dottrine e delle tendenze
della scuola hegeliana. Tale ritorno, però, si verificò attraverso un’operazione
di ostracismo dato a tutte le pratiche storiografiche che non erano in sintonia
con la visione hegeliana dell’unità di filosofia e storia della filosofia, o di
filosofia e storia tout court,
se pure rivisitata. In tal modo il secolo XX iniziava, nella cultura italiana,
ignorando o minimizzando un patrimonio di ricerche storiche e di consapevolezze
metodologiche che si era accumulato nel secolo precedente e che, pur non essendo
di grandissime proporzioni, era tuttavia rispettabile, e soprattutto non
collocava la ricerca storica nel cielo della logica dialettica e della pura
speculazione. Il recupero di tale patrimonio è ora in corso, e, in fondo, questa
presentazione è in sintonia con esso.
[1]
Per le abbreviazioni usate nelle note si fa riferimento all’Elenco
delle abbreviazioni
[2] Cfr.
Storia della filosofia moderna dal Risorgimento delle lettere sino a Kant,
del Signore G. Amadeo Buhle, Professore di Gottinga, tradotta in lingua italiana
da Vincenzo Lancetti, Tip. del Commercio, Milano 1821-22, 12 voll. in-12°. Cfr.
G. Santinello, in SSGF, III/2, pp. 959-1019.
[3] Cfr. E. Schmidt,
Delineazione della storia della filosofia,
Tip. Elvetica, Capolago 1844. Il traduttore, Giovanni Battista Passerini,
premise all’opera un saggio rilevante, nel quale riscontrava i progressi della
storiografia filosofica in Germania.
[4] Cfr. G. Lichtenfels,
Compendio delle cose più degne a sapersi della storia della filosofia,
a cura di D. Meschinelli, Paroni G. Tramontini, Vicenza 1846 (ed. orig.:
Grundlinien der philosophischen Propädeutik,
Heubner, Wien 1834).
[5] Cfr. K. F. L. Kannegieszer,
Compendio della storia della filosofia,
a cura di F. Bertinaria, Pomba, Torino 1843 (ed. orig.:
Abriss der Geschichte der Philosophie,
Brockhaus, Leipzig 1837). Il manuale fu poi riedito da Lauriel, Napoli 1854, con
note di F. Prudenzano.
[6]
Cfr. C. Renouvier, Manuel de philosophie moderne,
Paulin, Paris 1842.
L’opera fu tradotta da L. Pistolesi,
come Manuale di filosofia moderna,
con note, modifiche e varie aggiunte, 2 voll., Tip. Tipa, Napoli 1844;
18572.
[7]
Cfr. J. Tissot, Histoire abregée de la Philosophie,
Ladrange, Paris 1840. L’opera fu
tradotta da N. Corcia, come Storia compendiata
della filosofia, Volpato, Milano 1852.
[8] Cfr. L. A. de Salinis (arcivescovo
di Auch) e di B. D. de Scorbiac, Précis d’histoire
de la philosophie, Hachette, Paris 1834 (con una
terza edizione nel 1847). L’opera fu pubblicata come
Compendio di storia della filosofia,
edizione “recata in italiano per cura della Società per la biblioteca
cattolica”, all’Uffizio della Biblioteca cattolica, Napoli 1842 (18472,
18534). La traduzione fu quasi sicuramente compiuta da un gruppo di
docenti del Seminario di Napoli, guidati da Gaetano Sanseverino, esponente di
spicco del ritorno alla filosofia di S. Tommaso, e fondatore, proprio nel 1842,
del periodico “La Scienza e la Fede”. Su di lui si farà cenno più avanti.
[9] Cfr. I. Kant,
Critica della ragion pura,
trad. it. del cav. V. Mantovani, Bizzoni, Pavia 1819.
[10] Cfr. G. Tennemann,
Manuale della storia della filosofia,
tradotto da Francesco Longhena, con note e supplimenti dei professori
Giandomenico Romagnosi e Baldassarre Poli, voll. I e II, Fontana, Milano 1832;
voll. III e IV: Supplimenti,
ivi 1836. Il Manuale avrà una nuova edizione invariata, Silvestri, Milano 1855
(d’ora in poi si citerà: Supplimenti).
[11] Cfr.
Supplimenti, pp. VII-IX.
[12] Cfr. G. Tennemann,
Compendio della storia della filosofia,
Bizzoni, Pavia 1832, 2 voll. La traduzione è seguita, tre anni dopo, dai
Supplimenti al compendio della storia della filosofia di
Guglielmo Tennemann compilati dall’ab. Gaetano Modena,
ivi 1835.
[13] Sui contatti di Poli con Cousin e
soprattutto sugli scritti cousiniani che ebbero successo in Italia cfr. S.
Mastellone, Victor Cousin e l’Italia,
Le Monnier, Firenze 1955, pp. 141-7 e passim.
[14] Cfr.
Supplimenti, III, p.
XIII.
[15] Cfr. G. G. F. Hegel,
Lezioni sulla filosofia della storia,
Tip. Elvetica, Capolago 1840, a cura di G. B. Passerini (dall’edizione di E.
Gans).
[16]
Cfr. S. Mancino, Considerazioni sulla storia della filosofia, Palermo 1842. Lo
scritto verrà ripubblicato in appendice agli
Elementi di filosofia, vol. II (cfr. nell’ed.
Formigli, Firenze 18494). Mancino afferma che lo studio della storia
della filosofia permette di comprendere meglio la struttura libera del sapere
filosofico.
[17] Cusani fu brillante esponente di
una gioventù impegnata nella ripresa culturale napoletana, ispirata alle idee
liberali in senso laico e genericamente progressistico. Tra i suoi scritti,
tutti saggi in articoli di riviste, alcuni sono importanti per l’avvio della
storiografia filosofica. Celebre è rimasto l’articolo suo del 1839:
Del metodo filosofico e d'una sua storia infino agli
ultimi sistemi di filosofia che sonosi veduti uscir fuori di Germania e di
Francia, “Progr.”, n.s., VIII, vol. XXII, pp.
175-216 (ora in S. Cusani, Scritti,
a cura di F. Ottonello, vol. I, Marzorati, Milano 1977, pp. 23-54), nel quale
viene posta in primo piano l’osservazione psicologica, intesa come
quell’indagine che coglie l’“idea filosofica” che comanda lo sviluppo storico.
[18] Gatti tratta con la stessa
attenzione di Cusani verso la dialettica hegeliana delle idee eclettiche sulla
storia della filosofia. Fonda e dirige nel 1841 la rivista “Museo di Letteratura
e Filosofia” (poi “Museo di Scienza e Letteratura”), affermando, nella
Introduzione al primo
fascicolo della rivista, che lo scopo della innovazione culturale è anche quello
di “rileggere” la storia della filosofia: “Quello a cui da prima bisogna che lo
spirito si volga è il regno del pensiero e dell’idea, quello che solo gli è dato
di tentare è la salda determinazione dei principii” (I, 1841, vol. I, p. 18). In
un importante articolo intitolato Del progressivo
svolgimento dell’idea filosofica nella storia,
pubblicato sempre sul “Museo”, I, 1841, vol. I, pp. 99-112 e II, 1842, vol. III,
pp. 3-11, 97-105 (poi ripreso nella raccolta che Gatti fece dopo l’Unità dei
suoi articoli “giovanili”, Scritti varii di
filosofia e letteratura, Stamperia nazionale,
Napoli 1861, vol. I, pp. 1-27), Gatti afferma che l’idea astratta, ovvero l’idea
filosofica, è in costante svolgimento e costituisce la vita autentica dello
spirito, cioè la conquista continua della coscienza di sé.
[19] Sulla storiografia di Baldacchini, noto per il suo
interesse per la figura di Campanella, cfr. Malusa, in SSGF IV/2, pp. 292-5.
[20] Sulla storiografia di Winsperare,
autore di un ampio schizzo di storia generale della filosofia contenuto
nell’opera Saggi di filosofia intellettuale,
apparsi anonimi in 2 voll. su 3 tomi, Trani, Napoli 1843-46, cfr. Malusa, in
SSGF IV/2, pp. 287-92.
[21] Ben modesto è il contributo di
questo sacerdote toscano, che fece dei viaggi in Germania, riportando da essi un
vago ma entusiastico sentimento del pensiero idealistico e storicistico. Si veda
uno schizzo storico di Mazzoni, contenuto in uno scritto, incompiuto, in cui
viene tracciata una “storia critica della filosofia moderna” (tale lavoro,
annunciato in una lettera a Gino Capponi; si trova in appendice a D. Mazzoni,
L’educazione filosofica ed altri scritti inediti,
a cura di M. Losacco, Laterza, Bari 1913, pp. 233-91).
[22] Correnti diverrà personalità
politica e di governo della Destra, dopo l’Unità d’Italia. Su di lui cfr.: M.
Brignoli, Cesare Correnti e l’Unità d’Italia,
Istituto editoriale cisalpino, Milano-Varese 1971; e la voce di L. Ambrosoli, in
DBI, XXIX, pp. 476-80.
[23] C. Correnti,
La filosofia positiva, “Rivista europea.
Nuova serie del ricoglitore italiano
e straniero”, III, 1840, p. II, p. 53. Nell’articolo era recensita l’opera di P.
J. B. Buchez, Essai d’un traité complet de
philosophie, au point de vue du catholicisme et du progrès,
Eveillard, Paris 1839-40, 3 voll.
[24] Scritta con lo pseudonimo di Pirro
Lallebasque, Tip. Vanelli, Lugano 1824; ripubblicata nel vol. I delle
Opere filosofiche del signor Lellebasque,
Ruggia, Lugano 1830, 4 voll.
[25] Gentile,
Dal Genovesi, in
Storia, I, p. 524.
[26]
Pubblicato a Parigi,
Pihan-Delaforest, 1834; ripubblicato in Padova, Tip. Della Minerva; e Milano,
Pogliani, nel 1836 (con riedizioni molto accresciute a Parigi, 1839, e a
Firenze, 1842).
[27] Su quest’opera rinvio a quanto scrive I. Tolomio in
SSGF, III/1, pp. 290-2.
[28] Lo scritto di Rosmini si
intitolava: Il Rinnovamento della filosofia in
Italia proposto dal C. T. Mamiani della Rovere ed esaminato da Antonio Rosmini
Serbati, Pogliani, Milano 1836. Si veda
nell’edizione a cura di D. Morando, Bocca, Milano 1941, 2 voll. (voll. XIX e XX
dell’EN).
[29] Cfr. L. Blanch, “Prog.”, IV, 1835,
vol. XII, pp. 27-51 (ora raccolta in Blanch,
Scritti filosofici, a cura di F. Ottonello,
Pantograf, Genova 1993, pp. 237-59).
[30]
Cfr. Mamiani,
Del Rinnovamento, ed. Milano
1836, pp. 17-45.
[31] Ricordiamo lo schizzo storico di
Bozzelli, letto nell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli:
Disegno di una storia delle scienze filosofiche in Italia
dal Risorgimento delle lettere sin oggi (pubblicato
anche in estratto, Napoli 1847).
[32] Francesco Bertinaria, dopo aver
studiato nell’Università di Pisa ed essersi accostato a Silvestro Centofanti, si
trasferì a Torino per collaborare con l’editore Pomba, nelle sue iniziative di
edizione di libri di filosofia. In questo suo compito il giovane Bertinaria curò
non soltanto la traduzione dell’Abriss der
Geschichte der Philosophie di Kennegieszer, ma
preparò pure delle ampie integrazioni di questo manuale. Frutto di questi studi
fu Sull'indole e le vicende della filosofia
italiana, Pomba, Torino 1846, lavoro storico
complessivo di discreto peso culturale: lo scritto era originariamente apparso
come voce della Nuova enciclopedia popolare,
che si presentava come Dizionario generale di
scienze, lettere, arti, storia geografia,
pubblicata dai Fratelli Pomba, Torino 1846-49, in 14 tomi, con molte riedizioni.
[33] La
Storia della filosofia del medico torinese Lorenzo
Martini, pubblicata a Milano, Pirotta, nel 1838, in 2 voll., seguiti da altri 2
voll. nel 1840 e da altri 2, come III serie, nel 1843 (Storia
della filosofia. Altri discorsi che possono far seguito all'opera coll'egual
titolo) lascia perplessi per la sua assenza di note
critiche. Essa si articola in una serie di Discorsi
sui diversi filosofi, rispondendo a certi scopi
divulgativi che possono spiegarsi con l’estraneità dell’autore dall’ambito degli
storici della filosofia “professionali”.
[34] Pezza-Rossa fu un sacerdote,
docente tra i più apprezzati nel Seminario vescovile di Mantova, al tempo di
Enrico Tazzoli, Luigi Martini, e pure negli anni in cui studiò Roberto Ardigò.
Ricordiamo di lui il breve ma significativo scritto
Lo spirito della filosofia italiana. Ragionamento,
Elmucci, Mantova 1842 (ora pubblicato in appendice all’opera di I. Tolomio,
Italorum sapientia. L’idea di esperienza nella
storiografia filosofica italiana dell’età moderna,
Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, pp. 323-6), che appare ricco di riferimenti
storici.
[35] Medico toscano, docente
nell’Università di Pisa e poi direttore di ospedali in Ravenna, Sancasciani
scrisse un lavoro breve che rintracciava la tradizione del pensiero italiano
nella prospettiva sperimentalistica: Difesa della
filosofia italiana dell’osservazione e dell’esperienza,
Pezzati, Firenze 1840 (ora pubblicata in appendice a: Tolomio,
Italorum sapientia, pp.
301-19).
[36] Questo pensatore toscano, nato a Calci (Pisa) nel 1794,
fu titolare della cattedra di Storia della filosofia nell’Ateneo pisano dal 1841
al 1849. Compì studi e ricerche di letteratura greca e di poesia, dimostrandosi
eclettico elaboratore di grandi ideali, spesso retoricamente illustrati.
[37] Cfr. V. Gioberti,
Introduzione allo studio della filosofia,
t. I, Bonamici, Losanna 18462, pp.13-9 (la prima edizione è di
Bruxelles, 1840).
[38] In contesto idealistico questa
differenza fu notata da Vito Fazio Allmayer, nella sua prefazione all’opera di
M. A. Rocchi, Pasquale Galluppi storico della
filosofia, Trimarchi, Palermo 1934, p. VIII. Vi è
comunque un po’ di esagerazione nel contrapporre le costruzioni storiche di
Galluppi (in cui rifulgerebbe l’“umanità” del filosofo) a quelle di Rosmini (la
cui forma di ricostruzione storica sembra a Fazio Allmayer quasi
“matematizzante”).
[39] Galluppi pubblicò gli
Elementi di filosofia tra il
1820 e il 1827.
[40] Gentile,
Dal Genovesi, in
Storia,
I, p. 597.
[41] P. Galluppi,
Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia,
relativamente a' principii della conoscenza umana da Cartesio insino a Kant
inclusivamente, Pappalardo, Messina 1827 290 pp.
(13 lettere). La seconda edizione, “notabilmente aumentata e migliorata
dall'autore”, appare a Napoli, Tip. Tramater, 1838, 312 pp., con l'aggiunta di
una quattordicesima lettera.
[42] F. Fiorentino,
Manuale di storia della filosofia,
vol. III, Morano, Napoli 1881, p. 311. Cfr. anche
Compendio di storia della filosofia, a cura di A.
Carlini, Vallecchi, Firenze 1922, vol. II, parte I, p. 321.
[43] La
Storia della filosofia, Barone, Napoli, 1842
(XIX-286 pp.); Silvestri, Milano 18472, è l’opera della vecchiaia,
con tutti i limiti di un’operazione che voleva essere ambiziosa, ma che rimase
incompiuta per l’incapacità dell’autore di riunire il materiale raccolto in
parecchi anni di studi e ricerche e di dargli forma di trattazione storicamente
compiuta. Parecchi degli appunti preparatori sono raccolti in alcune buste della
Sezione manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, il cui ordinamento è
stato più volte tentato (pare anche da Augusto Guzzo).
[44] Cfr. ad esempio la valutazione
negativa di Stanislao Gatti. Esaminando, nel 1858, la storiografia filosofica
italiana di metà secolo XIX, questi giudica Galluppi come un modestissimo
esponente degli studi storico-filosofici. Con il suo primo volume della
Storia della filosofia -
scrive Gatti – Galluppi “fece tal prova di erudizione, di filosofia e di critica
filosofica che doverono dichiararla miserabilissima pruova anche quelli che
avean la generosità di prendere in sul serio la sua incerta psicologia” (Filosofia
de’ SS. Padri, “Museo”, XV, 1858, n.s., vol. I, p.
110).
[45] Galluppi,
Storia della filosofia, 1842,
p. VII.
[46] Sulla storiografia di Enrico
Pessina, precoce allievo di Galluppi (a lui è ispirata una
Storia della filosofia,
Silvestri, Milano 1844, scritta all’età di sedici anni) ricoprì la cattedra di
Diritto penale a Napoli, fondando un’apprezzata scuola di studi giuridici e di
filosofia del diritto, cfr. Malusa, in SSGF IV/2, p. 295.
[47] Sulla storiografia di Luigi Palmieri, che ricoprì la
cattedra di Filosofia teoretica che era stata di Galluppi, per poi passare ad
insegnare discipline scientifiche come le Scienze della terra, e ad occuparsi
del Vesuvio, fondando ed incrementando l’Osservatorio sulle attività del
vulcano, cfr. Malusa, in SSGF IV/2, pp. 296-8.
[48] Galluppi,
Storia della filosofia, p.
XIX.
[49] Anno in cui inizia a pubblicare il
suo lavoro teorico più rilevante, nel quale inserisce molte dissertazioni anche
di carattere storico. Cfr. Saggio filosofico sulla
critica della conoscenza, o sia analisi distinta del pensiere umano, con un
esame delle più importanti questioni dell'ldeologia, del Kantismo e della
Filosofia trascendentale, 6 voll., pei torchi di
Domenico Sangiacomo, Napoli 1819 (voll. I e II), Pappalardo, Messina 1822 (vol.
III), ivi 1827 (vol. IV), ivi 1829 (vol. V), ivi 1832 (vol. VI).
[50] Cfr. A. Rosmini,
Del divino nella natura, a cura di P. P. Ottonello,
Città Nuova, Roma 1991. Si tratta del vol. XX dell’Edizione
nazionale e critica (abbreviazione: EC), cioè dalla
prosecuzione e completamento dell’Edizione
nazionale delle opere di Rosmini (abbreviazione:
EN).
[51] A. Rosmini,
Nuovo Saggio sull'origine delle idee,
Salviucci, Roma 1829-30, 4 voll. (l’opera porta in realtà la data del solo anno
1830, ma il vol. I di essa era già pubblicato l’anno precedente). Rosmini segue
personalmente la pubblicazione dell’opera e cura soprattutto i voll. I e II, che
interessano proprio la storiografia filosofica. L’analisi dei sistemi filosofici
che hanno tentato “da’ soli sensi dedurre quelle idee che l’osservazione e la
coscienza attestano essere dall’uomo possedute” (vol. I, p. 25) e dei sistemi
che invece “hanno assegnato alla spiegazione di questo fatto [delle idee] una
cagione soverchia” (vol. II, 1830, p. 3) preoccupa Rosmini, che vuole
controllare la buona riuscita del lavoro storico. Nel frontespizio del vol. I si
scrive che esso contiene “La Prefazione, i principii del metodo, lo stato della
questione, e le osservazioni sui sistemi di Locke, Condillac, Reid e Steward”;
nel frontespizio del vol. II si scrive che contiene: “Le osservazioni sui
sistemi di Platone, Aristotele, Leibnizio e Kant”.
Successivamente i due voll. diverranno uno solo: nella
quinta edizione, l’ultima curata da Rosmini (Pomba, Torino 1852-1853) il vol. I
dell’opera coincide con i voll. I e II del 1830, e la trattazione è qua e là
ritoccata, anche se come ampiezza resta la stessa.
[52] La
Storia comparativa e critica de' sistemi intorno al principio della morale,
pubblicata a Milano, Pogliani, nel 1837, a parte ed anche assieme con i
Principj della scienza morale
(che erano stati pubblicati nel 1831), ci offre una storia del pensiero etico,
che non vuol essere una “nuda storia”, ma una “storia comparativa”, cioè che
espone accanto al sistema morale dell’autore, espresso nei
Principj in modo sintetico,
tutti gli altri principali (Storia comparativa,
1837, p. 10). Nel caso del Nuovo Saggio
erano stati comparati i sistemi che avevano dedicato alla spiegazione delle idee
una scarsa fondazione, e quelli che avevano posto nella costituzione di esse
troppi elementi esplicativi. Ora, invece, una volta appurato che non sono da
considerarsi quelle filosofie che negano l’esistenza della morale, oppure di
fatto la rendono impossibile, Rosmini espone i sistemi morali distinti in
soggettivi ed oggettivi. A loro volta i sistemi soggettivi sono divisi in
sistemi che confondono l’ordine morale con altri ordini, ed in sistemi che
pongono il sistema morale ben distinto da altri ordini. I sistemi oggettivi
infine vengono distinti in sistemi che promanano dalla sola ragione oggettiva e
sistemi che promanano dall’autorità o dalla volontà di un legislatore. In totale
Rosmini enuncia 51 sistemi della morale, tra cui pone anche il suo. “Si vanno
mostrando insomma le differenze del vero sistema morale rispetto ad una
riflessione filosofica erronea la quale volendo cogliere la natura della
moralità, come il bersagliere che falla il segno, si fissò sovente in ciò che
non era morale, e, presolo, il dichiarò per morale” (Storia
comparativa, in EC, vol. XXIII, a cura di U.
Muratore, Città Nuova, Roma 1990, p. 169).
[53] A. Rosmini,
Psicologia, Tip. Miglio,
Novara 1846, vol. I, pp. 381-529. Tale trattazione era stata composta per il
sacerdote dell’Istituto della Carità Giuseppe Toscani, docente a Domodossola, e
per lungo tempo segretario di Rosmini (cfr. ora questa ampia parte in EC, a cura
di V. Sala, vol. IX/A, Città Nuova, Roma 1988, pp. 13-136).
[54] L’Aristotele
esposto ed esaminato fu scritto nel 1853, ma
pubblicato postumo, Società editrice di libri di filosofia, Torino 1857. Abbiamo
l'edizione curata da E. Turolla, ai voll. XXIX-XXX di EN, Cedam, Padova 1963-64,
e la più recente, curata da G. Messina, nel vol. XVIII di EC, Città Nuova, Roma
1995. Nella Prefazione
all’opera Rosmini (pp. 33-89 di EC) precisa il ruolo del pensiero aristotelico
nella storia della filosofia e della filosofia cristiana in particolare.
[55] Anche il
Saggio storico-critico sulle categorie
apparve postumo, insieme allo scritto sulla
Dialettica, Unione tipografico-editrice, Torino
1883. Ora è disponibile l’edizione critica a cura di P. P. Ottonello, EC, XIX,
Città Nuova, Roma 1997.
[56] L'opera, dedicata ad Alessandro
Manzoni, era stata compresa sbrigativamente come vol. IV nella prima edizione
della Teosofia, a cura
di F. Paoli e P. Perez, Bortolotti, Intra 1869. Ora essa è stata restituita come
opera di notevole rilievo storiografico grazie all’edizione di P. P. Ottonello,
EC, XX, Città Nuova, Roma 1991. In essa l'esame delle concezioni dei diversi
popoli e delle diverse civiltà sul “divino” si delinea come una attenta
considerazione della storia della filosofia e delle religioni antiche, con
analisi acute dei testi filosofici e religiosi, senza esplicito intento
comparativo.
[57] Cfr. L. Bonelli,
Praecipuorum philosophiae systematum disquisitio historica,
Bourlie, Roma 1829: l’opera venne tradotta, per fini di scuola, in italiano:
Disquisizione storica dei principali sistemi
filosofici, Rossi, Loreto 1856. Sulla storiografia
di Bonelli, cfr. Malusa, in SSGF IV/2, pp. 302-8.
[58] A. Rosmini,
Introduzione alla filosofia,
a cura di P. P. Ottonello, Città Nuova, Roma 1979, p. 348 (EC, vol. II).
[59] Rosmini,
Introduzione alla filosofia,
p. 356.
[60] A. Rosmini,
Sull'unità dell'educazione,
in Scritti vari di metodo e di pedagogia,
Unione Tipografico-Editrice, Torino 1883, pp. 53-4.
[61]
Cfr. G. Tennemann, Manuel de l'Histoire de la
Philosophie, Pichon et Didier, Paris 1829, vol.
I, Préface,
p. XVIII.
[62] Cfr. Rosmini,
Introduzione alla filosofia,
pp. 86-7.
[63] Cfr. Rosmini,
Introduzione alla filosofia,
pp. 16- 8.
[64]
Cantù pubblicò la Storia universale
tra il 1838 ed il 1844, presso l’editore Pomba di Torino. Sull’aspetto
filosofico presente in quest’opera cfr. Malusa SSGF, IV/2, pp. 316-23.
[65] Una sintetica
presentazione della vasta produzione storica di De Nardi si trova in Malusa, in
SSGF, IV/2, pp. 382-4.
[66]
Sulla storiografia di Corte cfr.
Malusa, in SSGF, IV/2, pp. 379-81.
[67]
Una rapida presentazione degli scritti di Buroni si trova in Malusa, in SSGF,
IV/2 p. 384
[68]
Cfr. di Perrone la Historia theologiae cum
philosophia comparata synopsis, inserita nel vol.I
delle Praelectiones theologicae in compendium
redactae, Roma 1845. Sulla sua concezione
storiografica, cfr. Malusa, in SSGF, V, pp. 309-16.
[69] Cfr. P. Villari,
La storia di Gerolamo Savonarola e de’ suoi tempi narrata
con l’aiuto di nuovi documenti, 2 voll., Le
Monnier, Firenze 1859-61; Niccolò Machiavelli e i
suoi tempi, illustrati con nuovi documenti, 3
voll., Le Monnier, Firenze 1877-82.
[70] Cfr.
Opere di Tommaso Campanella, scelte, ordinate,
annotate da A. D’Ancona e precedute da un discorso del medesimo sulla vita e le
dottrine dell’autore, Torino 1854. Cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 54-6.
[71] Tali scritti che poi saranno
inseriti da Spaventa nella raccolta di studi: Saggi
di critica filosofica, politica e religiosa, vol
.I, Ghio, Napoli 1867. Di tali scritti venne fatta anche un’edizione con il
titolo: Rinascimento, Riforma, Controriforma,
La Nuova Italia, Venezia 1928.
[72] Per “hegelismo critico” si intende
l’orientamento proposto da Spaventa nel suo insegnamento all’Università di
Napoli, con un atteggiamento d’indipendenza dalla lettera dell’hegelismo e da
molte dottrine hegeliane. Su tale modo di intendere Hegel manifestò consenso
pieno Gentile, soprattutto nelle Origini della
filosofia contemporanea in Italia, ora in
Storia, vol. II.
[73] Il cosiddetto “hegelismo ortodosso” si propone di
interpretare nel modo più corretto le dottrine di Hegel e lo spirito della sua
“sistematicità”. Esso è rappresentato in Italia da Augusto Vera e da Raffaele
Mariano. In occasione del centenario della morte di Augusto Vera la Scuola
Normale superiore ha dedicato al filosofo di Amelia un Convegno, il 12 dicembre
1985. Cfr. gli atti, curati da C. Cesa, in “Annali della Scuola normale
superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia”, s. III, vol. XVI, 4, pp.
1231-1306 (con contributi di L. Siep, D. Sacchi, A. Doz, e con una bibliografia
degli scritti di Vera, curata da A. Savorelli).
[74] Vitale, Napoli 1862. Cfr. su
queste lezioni, oltre a Malusa, Storiografia,
pp. 71-80,ed a Malusa, in SSGF, V, pp.567-71, il lavoro di F. Rizzo,
Bertrando Spaventa. Le
“lezioni” sulla storia della filosofia italiana nell’anno accademico 1861-62,
Siciliano, Messina 2001.
[75] Cfr. B.
Spaventa, La filosofia italiana nelle sue relazioni
con la filosofia europea, Laterza, Bari 1908. Ripr.
in B. Spaventa, Opere,
Sansoni, Firenze 1972, vol.
II, pp. 407-719. Si noti che il titolo gentiliano diverrà
il titolo ufficiale delle Lezioni
spaventiane che verrà usato anche nella recente edizione critica del lavoro
spaventiano, a cura di A. Savorelli, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma
2003.
[76]
Cfr. A. Vera, Introduction à
la philosophie de Hegel, Franck, Paris-Londres
1855.
[77]
Cfr. R. Mariano, La philosophie contemporaine en
Italie. Essai de philosophie hégélienne, Baillière,
Paris 1868, pp. 13-22.
Si può avere un’idea del complesso
della visione sulla storia e sulla storia del pensiero umano di Vera nelle
pagine, curate da Mariano: A. Vera, Introduzione
alla filosofia della storia, Le Monnier, Firenze
1869.
[78]
Cfr. di questo pensatore l’opera, con valenza storica:
Il Teismo filosofico cristiano teoricamente e
storicamente considerato con speciale riguardo a S. Tommaso e al
teismo italiano del sec. IX.
I
: Le contraddizioni e le infondate dimostrazioni
del Teismo, Loescher, Torino, 1884.
[79]
Cfr. B.
Spaventa, La filosofia di Gioberti,
Vitale, Napoli 1863, vol. I (unico).
[80] Cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 81-95.
[81]
Cfr. F.
Fiorentino, Pietro Pomponazzi. Studi storici sulla
scuola bolognese e padovana del secolo XVI. Con molti documenti inediti,
Le Monnier, Firenze 1868. Cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 134-49.
[82]
Cfr. F.
Fiorentino, Bernardino Telesio, ossia studi storici
sull’idea della natura nel Risorgimento italiano, 2
voll., Le Monnier, Firenze 1872-74. Cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 149-65.
[83] Cfr. F. Fiorentino,
Il Risorgimento filosofico nel Quattrocento,
a cura di V. Imbriani, Tip. della Regia Università, Napoli 1885 (rist.
anastatica, Forni, Sala Bolognese 1982); ora ripubblicato a cura di S. Ricci,
con un saggio di F. Cacciapuoti, Vivarium, Napoli 1994. Cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 226-36.
[84] Cfr. F. Fiorentino,
Sul concetto della storia della filosofia di Hegel.
Lettera al prof. Francesco Acri, “Giornale
napoletano di filosofia e lettere”, I, 1872, pp. 161-72; ripr. in
Scritti varii di letteratura, politica ed arte,
Morano, Napoli 1876, pp. 342-5. Sulla concezione fiorentiniana della storia
della filosofia nel suo complesso cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 172-226.
[85] Cfr. F. Rizzo,
Il tramonto
dell'hegelismo: la "sfortuna" degli epigoni, in I filosofi e la genesi della
coscienza culturale della «nuova Italia»" (1799-1900). Stato delle ricerche e
prospettive di interpretazione (Atti del Convegno di Santa Margherita
ligure, 23-25 ottobre 1995), a cura di L. Malusa, Istituto italiano per gli
Studi filosofici, Napoli 1997, pp. 217-236.
[86] Cfr.
soprattutto il saggio di Jaja: Saggio critico sulle
categorie e forme dell’essere di A. Rosmini,
Regia Tipografia,
Bologna
1878 (se ne veda ora la riedizione a cura di P. P. Ottonello, Edizioni
rosminiane-Fondazione Capograssi, Stresa-Roma 1999). Su
di esso cfr. P. De Lucia, Donato Iaia e il
significato teoretico e storico della filosofia rosminiana,
“Filosofia oggi”, XXV, 2002, pp. 339-72.
[87] Sulla storiografia filosofica di
Masci cfr. Malusa, Storiografia,
I, pp. 410-6.
[88] Sulla storiografia filosofica di
Ragnisco cfr. L. Malusa, Pietro Ragnisco, storico
della filosofia patavina, “Quaderni per la storia
dell’Università di Padova”, v, 1972, pp. 107-144; Malusa,
Storiografia, I, pp. 429-458 e 714-5, e Malusa, in
SSGF, V p. 576.
[89] Lo scritto apparve sul
“Politecnico”, s. IV, vol. I, 1866, pp. 1-29. Si veda ora nella raccolta: P.
Villari, Teoria e filosofia della storia,
a cura di M. Martirano, Editori Riuniti, Roma 1999 (con rilevante introduzione
di G. Cacciatore). Cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 466-79 e 715-7; G. Cacciatore, Il positivismo e
la storia, in I
filosofi e la genesi, pp. 275-86.
[90]
Sulle idee di
Ardigò intorno alla storiografia filosofica (espresse in diverse prolusioni ed
articoli) cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 480-98 e 718.
[91] La produzione storico-filosofica
di Amabile è costituita da una serie di studi sulla vita e sui processi di
Tommaso Campanella. Ricordiamo il suo capolavoro, amplissimo per documenti e per
capacità interpretative: Fra Tommaso Campanella. La
sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia,
Morano, Napoli 1882. Sulla storiografia di Amabile cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 532-45 e
724-5.
[92] Sulle molte, sparse ma efficaci
ricerche storiche di Favaro intorno a Galileo Galilei cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 551-66 e
727.
[93] Cfr. sulla storiografia di
Siciliani, Malusa, Storiografia,
pp. 416-27 e 713-4. Per le cure dell’Università di Lecce a Siciliani è stato
dedicato un convegno che ha dato origine poi ad un’importante pubblicazione:
Rileggere Pietro Siciliani,
a cura di G. Invitto e N. Paparella, 3 voll., Congedo, Cavallino di Lecce 1988.
[94] Sulla storiografia filosofica di
Angiulli, cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 504-6 e 719.
[95] Cfr. sulla storiografia filosofica
di De Dominicis: Malusa, Storiografia,
pp. 502-4 e 718-9.
[96]
Sulla
storiografia di Trezza,
cfr. Malusa,
Storiografia, pp. 522-8 e 721-2.
[97] Sulla storiografia di Cesca,
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 522-8 e 720.
[98] Sulla produzione storica di Sante
Ferrari, cfr. Malusa, Storiografia,
I, pp. 549-51 e 725-6.
[99] Sulla storiografia di Dandolo,
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 497-8.
[100] Sulla storiografia di Paoli,
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 529-32 e 723-4.
[101] Cfr. G. M. Bertini,
Idea per una filosofia della vita, con l’aggiunta di un
Saggio storico sui primordi della filosofia greca,
Stamperia Reale, Torino 1850, 2 voll.; La filosofia
greca prima di Socrate. Esposizione storico-critica,
Stamperia Reale, Torino 1869.
[102] Sugli studi storici di Bertini,
cfr. Gentile, Origini,
in Storia, II, pp.
87-126; P. Gobetti, Introduzione
a G. M. Bertini, Saggi
platonici, Carabba, Lanciano 1928, pp. 5-77; L.
Malusa, in SSGF, V, pp. 586-8.
[103] Cfr. G. M. Bertini,
Storia della filosofia moderna.,
parte I: Dal 1596 al 1690: Cartesio,
a cura di R. Bertini, Bocca, Torino 1881.
[104] Barbera, Firenze 1864, in 2 voll.
L’opera avrà molte edizioni,
ricordo l’ultima, la sesta, Pustet, Roma 1908.
[105] Sul pensiero di Conti, cfr. A.
Alfani, Della vita e delle opere di Augusto Conti,
Alfani e Venturi, Firenze 1906; Gentile Origini,
in Storia, II, pp.
202-6; Malusa, in SSGF, V, pp. 579-85.
[106] Gaetano Sanseverino fondò.una
fiorente scuola neotomista, che comprendeva ecclesiastici come Giuseppe Prisco,
Nunzio Signoriello, Salvatore Talamo. Cfr. Gaetano
Sanseverino nel primo centenario della morte,
Pontificia Università Lateranense, Roma 1965; P. Orlando,
Il tomismo a Napoli nel sec. XIX. La Scuola del
Sanseverino, I: Fonti
e documenti, Libreria editrice vaticana, Roma 1968.
Nell’opera di lui: Philosophia christiana
cum antiqua et nova comparata,
vol. I, Logica,
Manfredi, Napoli 1862, pp. 11-162, veniva tracciata una
Introductio in universam philosophiam,
vera storia del pensiero umano nella prospettiva dell’affermazione, dell’eclissi
e della ripresa del pensiero dell’Aquinate.
[107] Cfr. S. Talamo,
L’Aristotelismo della Scolastica nella storia della
filosofia, Tip. S. Bernardino, Siena 18813.
Il lavoro era apparso originariamente sulla rivista “La Scienza e la Fede”,
1872. Cfr. sulla storiografia di Talamo: Gentile,
Origini, in Storia,
II, pp. 517-9.
[108] Durand et Didier, Paris
1869, 2 voll.
[109] Sul pensiero di Ferri cfr.:
Gentile, Origini, in
Storia, II, pp.
127-36; Malusa, in SSGF, V, pp. 588-9.
[110] Cfr. sulla figura di Berti: G.
Gentile, L’eredità di Vittorio Alfieri,
Sansoni, Firenze 1964, pp. 179-91; Malusa , in SSGF, V, pp. 589- 91.
[111]
Cfr. D. Berti,
Di Vincenzo Gioberti riformatore, politico e
ministro, con sue Lettere inedite a Pietro Riberi e Giovanni Baracco,
Barbera, Firenze 1881.
[112] Di Berti, che fu professore alla
Sapienza di Roma dopo il 1872, ricordiamo:
Copernico e le vicende del sistema copernicano in Italia nella seconda metà del
sec. XVI e nella prima del XVII. Con documenti inediti intorno a Giordano Bruno
e Galileo Galilei, Roma 1876; e
Giordano Bruno, sua vita e dottrina,
inizialmente pubblicato sulla “Nuova Antologia”, II, 1867, vol. IV, pp. 209-38,
437-53, 648-70; vol. V, pp. 297-327; vol. VI, pp. 83-100, 267- 91, 686-711, ma
poi ripreso ed ampliato fino a farne una monografia col titolo:
Giordano Bruno da Nola, sua vita e sua dottrina,
Unione Tipografico-editrice, Torino 1889. Sulla storiografia di Berti, cfr.
Malusa, in SSGF, V, pp. 589-91.
[113] Sulla storiografia di Di Giovanni,
autore tra l’altro di una Storia della filosofia in
Sicilia, Pedone-Lauriel, Palermo 1873, prototipo di
una storia “regionale” della filosofia, e di numerosi saggi, anche pregevoli,
sul pensiero in Sicilia dal medioevo in poi, cfr. Malusa, in SSGF V, pp. 592-3.
[114] Sulla figura e sull'opera di
Mamiani nella prima fase del suo percorso filosofico, cfr. lo studio di Tolomio,
Italorum sapientia,
pp. 135-44 e passim.
Per la seconda fase, cfr. Malusa, in SSGF, V, pp. 591-2.
[115] F. Tocco,
Studi platonici, Asturi, Catanzaro 1876. Sulla
“questione platonica” Tocco scrisse parecchi studi successivamente, mai raccolti
in ulteriori volumi.
[116] F. Tocco,
L’eresia nel Medio Evo, Le
Monnier, Firenze 1884. Numerosissimi sono gli scritti sull’eresia medievale che
non hanno trovato posto in questo volume, e che sono ancora giacenti tra
riviste, volumi miscellanei, ed atti di convegni.
[117] I molti scritti dedicati da Tocco
al movimento francescano ed alla storiografia francescana non sono stati
raccolti in un volume solo. Ricordiamo gli scritti contenuti in:
Studi francescani, Perrella,
Napoli 1909; e in La quistione della povertà nel
secolo XIV secondo i nuovi documenti, ivi; e
facciamo poi riferimento a quanto indicato da Malusa,
Storiografia, p. 364 n.
[118] Anche nel caso degli studi
savonaroliani Tocco non ha pubblicato una raccolta. Cfr. tra di essi:
Il Savonarola e la profezia,
in La vita italiana nel Rinascimento,
Treves, Milano 18942, pp. 236-68.
[119] F. Tocco,
Giordano Bruno, Le Monnier, Firenze 1886;
Le opere latine di Giordano Bruno esposte e confrontate
con le italiane, Le Monnier, Firenze 1889;
Le opere inedite di Giordano Bruno,
“Atti della R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli”, XXV, pp.
1-268. Tocco pubblicò buona parte delle opere latine di Bruno, in una pregevole
edizione critica, subentrando a Fiorentino nell’impresa, assieme a Girolamo
Vitelli. Cfr. Jordani Bruni Nolani Opera latine
conscripta, in 3 voll., con più parti, Le Monnier,
Firenze1889-91.
[120] F. Tocco,
Studi kantiani, Sandron,
Palermo 1909. Sulla storiografia di Tocco nel complesso delle sue opere cfr.
Malusa, Storiografia,
pp. 247-396. Cfr. anche il
contributo recente di Malusa SSGF, V, pp. 596-600.
[121] Tocco espone queste sue importanti
riflessioni nell’articolo: Pensieri sulla storia
della filosofia, “Giornale napoletano di filosofia
e lettere”, III, 1877, vol. V, pp. 1-15. Sul complesso dei documenti che
attestano l’impegno storiografico e metodologico di Tocco cfr. A. Olivieri,
Felice Tocco. Le carte ed i manoscritti della
Biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze,
L. S. Olschki, Firenze 1991.
[122] Per una valutazione complessiva
del neokantismo di Tocco cfr. M. Ferrari, I dati
dell’esperienza. Il neokantismo di Felice Tocco nella filosofia italiana tra
Ottocento e Novecento, Olschki, Firenze 1990. Cfr.
anche di Ferrari, Il neokantismo italiano tra
storiografia ed etica, in
I filosofi e la genesi, pp.
287-99.
[123] Sulla storiografia di Barzellotti
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 659-77 e 736-7; e in Id., in SSGF, V, pp. 601-5.
[124] Sulla storiografia di Chiappelli
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 623-36 e 730-2; e in Id., in SSGF, V,
pp. 605 -8.
[125] Sulla storiografia di Zuccante
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 652-8 e 735-6.
[126]
Cfr. Sul pensiero di Labanca: L. Salvatorelli,
Saggi di storia e politica religiosa,
Città di castello, Lapi, 1914, pp. 227-254.
[127]
Morano, Napoli 1879-81, in 3 voll.
Il manuale ebbe nel 1885 un’edizione in un solo volume, in occasione
dell’introduzione, nelle scuole italiane, dello studio della storia della
filosofia per l’ultimo anno liceale (come si dirà più avanti).
[128] Hoepli, Milano 1887, 18972.
Il Corso elementare
era stato pubblicato per la prima volta, in due voll., ma senza la parte
dedicata alla storia della filosofia, a Milano, nel 1870-71.
[129] Cfr. C. Cantoni,
Emanuele Kant, Brigala,
Milano 1879-84, 3 voll.
[130] Cfr. C. Cantoni,
G. B. Vico. Studi critici e comparativi,
Civelli, Torino 1867.
[131] Sul pensiero e sulla storiografia
di Cantoni, cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 575-619; e
in Id., in SSGF, V, pp. 611-8.
[132]
Cantoni,
Storia compendiata,
ed. 1897, pp. 4-6.
[133] Sulla storiografia di Credaro
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 643-52 e 734-5.
[134] Sulla storiografia di Faggi
cfr. Malusa, Storiografia,
pp. 637-42 e 732-3.
[135]
Sui criteri
della storiografia di Francesco Acri, cfr. L. Malusa,
Persona, sistema, sviluppo nella storiografia filosofica
di Francesco Acri, in
Vetera novis augere, La Goliardica, Roma 1982, pp.
59-92; e Id. Storiografia,
pp. 191-7;
e Id., in SSGF, V, pp. 593-5.
[136] Lo scritto di Fiorentino,
intitolato Considerazioni sul movimento della
filosofia in Italia, era apparso sulla rivista di
Lipsia “Italia”, il 15 gennaio 1875. Fu poi incluso nell’opera
La filosofia contemporanea in Italia,
Morano, Napoli 1876.
[137] Acri sostenne la sua critica a
Fiorentino nell’opera: Critica di alcune critiche
di Spaventa, Fiorentino, Imbriani su i nostri filosofi moderni: Galluppi,
Rosmini, Gioberti, Mamiani, Fornari, Conti, Bonatelli, Bertini, Berti, Ferrari,
Franchi, etc. lettera al prof. Fiorentino,
Mareggiani, Bologna 1875. Si noti che oltre a Spaventa, come si è detto,
propendeva per un’interpretazione immanente della filosofia di Rosmini e di
Gioberti anche Donato Jaja, che sarà il maestro di Giovanni Gentile, e che lo
avvierà a proseguire nella metodologia interpretativa precedentemente
consolidata.
[138] Cfr. sulle varie fasi della
questione rosminiana e sullo scontro, in essa, di posizioni diverse nell’ambito
del pensiero cristiano: L. Malusa, L’ultima fase
della questione rosminiana e il decreto “Post obitum”,
Stresa 1989; Id., Le opposizioni a Rosmini durante
la sua vita e dopo la sua morte fino ai nostri giorni,
in Antonio Rosmini e il suo tempo nel bicentenario
della nascita, a cura di L. De Finis, Trento 1998,
pp. 205-21; Id., Il vero oggetto delle condanne
rosminiane (Gli equivoci dell’intransigentismo tra Ottocento e Novecento),
“Per la Filosofia”, XIV, 1998, n. 41, pp. 84-95.
[139] Cfr. l’atto di accusa di
Fiorentino in La filosofia contemporanea in Italia,
pp. 176-81. |