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Una passione che viene da lontano Non ho un ricordo esatto del
momento in cui è scattata in me la passione per
il volo. Il ricordo più remoto che ho della mia
infanzia risale a un regalo di Natale fattomi da
un cugino più grande: un Heinkel He - 111 in
scatola di montaggio. Ricordo bene la
plastica azzurra del kit e la soddisfazione
nell’averlo realizzato alla bell' e meglio, così
come avrebbe saputo fare un bimbo di cinque
anni. Da
bambino
–
erano i favolosi anni Sessanta, gli anni della
conquista dello spazio e dell’allunaggio
dell’Apollo - fantasticavo per ore su ogni
oggetto in grado di volare. Mio padre al tempo
mi aveva donato un razzo giocattolo che, una
volta lanciato in aria con la fionda, rientrava
a terra con un paracadute bianco e rosso. Avevo
poi trovato in casa della nonna un aeromodello
incompiuto, quel ritrovamento mi aveva spalancato
le porte all’aeromodellismo dinamico, tuttavia
con scarso successo considerato i disastrosi
tentativi impattati duramente sull’asfalto
genovese di Piazzale Kennedy. Alle elementari – allora non
si chiamavano ancora scuola primaria – mi
divertivo a disegnare improbabili cruscotti di
aerei, pieni di quadranti e leve con i quali poi
a casa giocavo per ore. Durante le vacanze estive mi
era capitato di dover volare per raggiungere
papà, che spesso si trovava all'estero per
lavoro. Ad ogni decollo mi sorprendeva
un’eccitazione formidabile. Trovavo i panorami
che mi si offrivano dall’alto esaltanti: ricordo
in particolare un volo transcontinentale durante
il quale rimasi incantato da un tramonto che, a
causa dell’alta velocità del velivolo che
incalzava il sole nel suo calare, si dilatò
oltremodo nel tempo. Non
credo che questa mia passione
derivi
interamente da quei giochi o da quelle
esperienze e nemmeno sia da ricercarsi in
qualche improbabile impronta genetica anche se
in famiglia ho avuto uno zio scappato di casa a
sedici anni per arruolarsi nella Regia
Aeronautica, credo piuttosto derivi da una
curiosità antica e prepotente per tutto ciò che
non è immediato, per tutto ciò che è
complessità. Questa spiegazione non contempla
ancora l’atteggiamento di chi sfida
continuamente se stesso, condannato a spostare
l’asticella della vita una tacca sempre più in
alto.
Casualmente un giorno
durante una gita scolastica - allora frequentavo
l'istituto Nautico San Giorgio di Genova -
parlai di questa mia passione ad un compagno
di scuola e di un progetto che covavo da tempo. Eravamo in
montagna e fuori stava nevicando e, mentre
sistemavamo i bagagli, Roberto mi ascoltava
senza parlare, interessato. Al
nostro ritorno ci precipitammo insieme in aeroporto per
cercare di capire come si facesse a diventare
piloti. Così, anche grazie a una borsa di studio
della Regione Liguria, cominciai a volare. Primo
volo ai comandi di un aeroplano il 23 aprile del
1978 a diciassette
anni appena compiuti: .
Passarono molti anni, fino a che che pensai di
essere ormai definitivamente "guarito"
dall'urgenza del volo, poi un giorno Roberto mi
chiese di accompagnarlo all'aviosuperficie di
Mezzana Bigli (PV) dicendomi che era intenzionato
a riprendere
a volare iscrivendosi ad un corso di pilotaggio
per velivoli ultraleggeri. Se poi, esagerando,
volessi tentare di spiegare questa
prepotente passione ricorrendo
a un po’ di filosofia non potrei non dire che
sono e resto un
disincantato. Non ho speranze ultraterrene e
come Wittgenstein ritengo che la metafisica
derivi da un’insufficienza del linguaggio. Credo
nell’hic et nunc, nella disperazione
heideggeriana dell’uomo considerato l'ultima
sentinella sul limite del baratro: il nulla. Tutto
questo porta ogni essere umano a ricercare un
ordine consolatorio nelle cose e nel mondo a
testimonianza
dell’esistenza di un’intelligenza ordinatrice
nell’universo, una sorta di nous
anassagoreo, tale da superare ogni limite e deficienza di ognuno:
dove il singolo è impotente, questa è
onnipotente, dove il singolo è mortale e finito,
questa è immortale e infinita (cfr. Feuerbach). Per ciò
che invece riguarda la presunzione di ravvisare
un ordine nel
mondo è interessante e terribile la tesi esposta da Jűnger
nel suo libro “Nelle tempeste di acciaio”
dove
testimonia quanto la mente umana sia portata
a trovare ordine dove invece non vi è ordine
alcuno. Ebbene,
e
la passione per il
volo cosa ha a che fare con questa digressione?
Il volo a un livello più profondo rappresenta l’evasione, un modo di uscire da questa pesante consapevolezza, un divertissement di pascaliana memoria. Un motivo per impegnarsi a fondo in un'attività tanto complessa da far dimenticare, per un momento soltanto, il baratro su cui ognuno di noi, consapevole o meno che sia, sta solitario di sentinella. Cieli azzurri a Tutti! Paolo Malerba
Nell'indice più in alto, a fianco di questo paragrafo, ho voluto raccogliere una breve scheda per ogni velivolo che ho avuto il privilegio di pilotare, sia solo per una prova in volo, sia invece per qualche ora in più.
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